Alzi la mano chi non ha su un qualsiasi device della vita quotidiana uno sfondo con il suo tennista preferito, magari non lo avrete nello smartphone, posizione occupata probabilmente da un affetto più caro, ma al pc dell’ufficio probabilmente ci sarà la foto del vostro campione.
Ecco quella foto potrebbe averla scattata Ray Giubilo, fotografo di fama internazionale che ha fatto della fotografia tennistica la sua ragione di vita, se visitate il suo sito http://www.raygiubilo.com/ avrete l’occasione di scoprire il suo fantastico lavoro.
Noi di TennisCircus lo abbiamo incontrato ed è stato così gentile da concederci una piacevole chiaccherata.
Ciao Ray, grazie per la disponibilità, dalla tua biografia sappiamo che all’età di 7anni ti sei trasferito in Italia, per tornare poi in Australia e aprire il tuo primo studio fotografico. La passione per la fotografia quando ricordi sia entrata nella tua vita? E’ stata casuale o in famiglia avevi già fotografi o appassionati che hanno influito su quella che è diventata la tua professione?
“La passione per la fotografia è iniziata dapprima come fascinazione per la macchina fotografica come oggetto. Quando feci la prima comunione mi fu regalata una mini macchina fotografica e trovavo fantastico il fatto che quell’oggetto così piccolo potesse registrare un’immagine. Quello fu il primo approccio e poi verso i 16 anni cominciai a fare le prime foto ma a quei tempi non avevo una direzione ben precisa e fotografavo qualsiasi cosa. Non pensavo nemmeno lontanamente che sarei diventato un fotografo.”
Sempre dalla tua biografia leggiamo che facevi servizi fotografici di moda, a cosa è dovuto il cambio di direzione verso lo sport, e come mai proprio il tennis?
“Nel 1981 mi trasferii a Sydney che stava diventando il centro della moda australiana e c’era un gran via vai di fotografi stranieri che venivano in Australia a lavorare per le riviste di moda. Diventai molto amico di un mio coetaneo di Cagliari che era un grafico eccezionale con una grande passione per la moda. Fondò una rivista di moda che divenne ben presto la rivista di settore più venduta in Australia e c’era la fila di fotografi che volevano poter avere le proprie foto pubblicate all’interno. Io cominciai come assistente di vari fotografi di moda e pian piano cominciai ad imparare le varie tecniche. Il mio debutto sulla carta stampata fu un reportage sul Carnevale di Venezia e poi pian piano le prime pubblicazioni di moda. Il cambio di direzione fu dovuto al fatto che io giocavo a tennis ed ero già un po’ introdotto nell’ambiente in quanto ero stato consulente marketing per “Sergio Tacchini” per l’Australia. Successe che un amico giornalista venne in Australia per gli Australian Open e mi fece ottenere un accredito di fotografo per la storica rivista Match Ball. Mi resi conto da subito che mi sentivo più a mio agio a fotografare il tennis.”
Qualche tempo fa Novak Djokovic ha annunciato che saresti diventato il suo fotografo ufficiale, chi segui oltre a lui? E come è nata questa collaborazione?
“Circa un anno fa fui contattato dal manager di Djokovic che cercava un fotografo che potesse seguire tutte le partite di Djokovic nei tornei dello Slam e Master 1000, comprese le finali ATP. Accettai di farlo fino alla fine dell’anno a certe condizioni e poi a fine anno avremmo discusso le condizioni per l’anno successivo. Tutto filò liscio fino alla fine dell’anno ma poi non trovammo un accordo economico per il 2019 e allora decisi di interrompere il rapporto dopo gli Australian Open di quest’anno. Mi occupava troppo tempo e io ho dei clienti più importanti che non posso trascurare per seguire dappertutto un giocatore solo.”
Fotografi i tennisti da parecchi anni, è diventato più difficoltoso? Cerco di spiegarmi meglio, fisicamente sono tutti molto prestanti e la velocità in campo sembra sempre aumentare, che difficoltà si incontrano nello scattare?
“Non penso che oggi fotografare il tennis sia più difficoltoso rispetto al passato. Con la tecnologia di oggi trovo che anzi sia più facile. Nel 1995 avevo un budget di 100 rullini di film(3600 immagini) per un torneo di due settimane mentre oggi ne scatto più di 20.000. Agli inizi le mie foto erano più statiche e il budget limitato non mi dava la possibilità di sfruttare la velocità della macchina perché altrimenti i rullini non mi sarebbero bastati. Inoltre la messa a fuoco era manuale e la percentuale di foto a fuoco era piuttosto bassa.”
Che tipo di scatto preferisci? Il movimento durante un match, o qualcosa di più intimo magari un cambio campo mentre l’atleta raccoglie le idee?
“Non ho un tipo di scatto che preferisco, mi lascio trascinare dall’istinto e dalla situazione del momento, dalla luce che trovo e dalle posizioni che le varie strutture mi offrono. Ormai dopo 30 anni conosco tutti i posti migliori da dove fotografare. Tuttavia essendo sempre attratto dalla fotografia di moda, quando sono attratto da un soggetto e quando c’è quella luce speciale, mi piace fotografare il lato umano, un viso o un corpo. Non deve necessariamente esserci una palla nell’immagine..”
Facciamo nuovamente un passo indietro, fotografi da parecchi anni, qual è stato il momento in cui hai capito che questa era la tua strada?
“Ho fatto il mio primo torneo nel 1989 agli Australian Open. Per me era tutto nuovo nuovo e ne rimasi entusiasta. La rivista per cui ero accreditato, Matchball, mi pubblicò più di 100 foto e mi chiese se potevo coprire anche gli altri tornei in Australia e scrivere pure gli articoli. Così cominciai a coprire tutti i tornei e gli incontri di Davis in Australia come fotografo/giornalista. Nel frattempo avevo conosciuto le varie leggende Australiane come Newcombe, Roche e John Alexander e grazie a loro ebbi altri lavori. John Alexander organizzava molti eventi pro-am di tennis e mi chiamava a fare le foto. Era un bel modo per guadagnare qualche soldo e per fare pratica. Per qualche anno alternavo la moda al tennis ma poi nel 1994, dopo 6 Australian Open all’attivo,un’azienda mi offrì un contratto dove avrei dovuto coprire tutti i tornei maggiori e così cominciai a fotografare il tennis a tempo pieno. In quel momento mi resi conto che questa avrebbe potuto essere la mia strada.”
Io sono un fotoamatore, da fuori sembra tutto molto “facile” per voi professionisti, a bordo campo, obiettivi che sembrano bazooka, ma suppongo che la gavetta non sia facile. C’è stato un momento della tua carriera, anche prima di diventare specializzato nel tennis, in cui hai pensato di mollare perché eri di fronte ad una difficoltà?
“Non ho mai pensato di mollare,anche perchè ormai mi ero impegnato a fare solo questo e la passione per la fotografia di tennis mi ha aiutato a continuare anche quando all’inizio ci sono stati momenti quando non me la passavo troppo bene finanziariamente. Per spiegarmi meglio,non avevo fatto bene i miei calcoli e le spese superavano le entrate. Ho fatto anch’io la mia gavetta.”
Secondo i tuoi canoni, quando uno scatto di un tennista in azione è buono? Cerco di spiegarmi meglio, un giorno ho fatto vedere una mia foto di Stan Wawrinka mentre carica una rovescio, mi hanno detto tutti che mancando la palla lo scatto era brutto. Hai una tua regola precisa o la scelta di uno scatto varia a seconda della situazione?
“Come so se uno scatto è bello o brutto? All’inizio ogni scatto mi sembrava bello ma poi quando ho cominciato a guardare quello che facevano i grandi specialisti mi sono reso conto che tanti scatti che pensavo che fossero belli erano in realtà degli scatti banali. In riferimento alla tua foto di Wawrinka, forse se ci fosse stata la palla la foto sarebbe piaciuta di più. In effetti se fotografi uno che sta preparando un colpo è sempre meglio che ci sia la palla nell’immagine. Se però fotografi la chiusura di un colpo allora puoi fare una bella foto anche se non c’è la palla.Poi con l’esperienza uno comincia a creare immagini sfruttando tutto quello che ti si presenta davanti, per esempio una bella luce o un giocatore particolarmente fotogenico o particolarmente atletico. Per darti un’idea ci sono certi giocatori che hanno dei movimenti talmente sgraziati che è difficile fargli delle belle foto. Mi viene in mente per esempio Vesely, quando colpisce la palla è tutto storto e fa delle smorfie. Poi ci sono altri giocatori (ad esempio Thiem e McDonald) che quando colpiscono la palla chiudono gli occhi e allora ti devi inventare un altro tipo di foto.”
C’è uno scatto a cui sei particolarmente legato?
“Ormai ho molte immagini a cui sono legato. Ce ne sono alcune che hanno avuto un gran successo commerciale, come il salto di Sampras a Wimbledon per la Wilson, che è diventata una immagine classica del tennis, e un’immagine fatta a Venus agli Australian Open nel 1998. Sono particolari anche perché sono state entrambi scattate su pellicola con la messa a fuoco manuale. Poi ce ne sono tante mie favorite scattate negli ultimi 20anni.”
Tra i vari tornei che frequenti quale visiti più volentieri e quale invece, se puoi dirlo, non ami?
“Tra i tornei che frequento metterei come preferiti Wimbledon e il Roland Garros per tutta una serie di motivi: la luce in certi momenti della giornata, le postazioni, l’organizzazione, il clima e anche perché sono tornei senza la sessione notturna. Ormai nei tornei con sessione notturna ti ritrovi a lavorare anche 16 ore di fila tra scatti in campo e editing al computer. Va a finire che si dorme poco e poi alla fine del torneo sei rintronato per una settimana. Il torneo che mi piace meno? Forse Toronto.”
Il post produzione lo curi personalmente o ti affidi a qualcuno che sa come vuoi modificare una foto e poi ti sottopone il lavoro?
“Io faccio tutta la post produzione da solo, studio dai libri che compro in continuazione e ho un mio metodo. Atri miei colleghi usano altri metodi ma non so dirti se sia meglio il mio o quello di qualcun altro. Mi confronto spesso con fotografi che fanno moda o foto d’arte per capire se c’è qualcosa da imparare. Per quanto riguarda invece il mio profilo Instagram mi affido ad uno studio australiano specializzato in social media. Quando lo facevo da solo avevo pochissimi like, ma da quando mi affido a questo studio il numero di followers è passato da 600 ad oltre 3500.Dipende molto da come tagghi le foto e dall’orario in cui carichi il post.”
Ho intervistato Melania Delai due volte, ho scoperto che siete molto amici tanto che le foto che pubblicato in allegato nel primo articolo erano tue. Come è nata la vostra amicizia?
“Ho conosciuto Melania un po’ per caso. Due anni fa lessi una sua intervista e scoprii che si allenava a Padova e volevo vedere con i miei occhi questa quattordicenne che aveva dato delle risposte così brillanti nell’intervista. Allora chiamai la mamma e le chiesi se potevo venire a fotografare Melania in allenamento. Andai a Padova e feci delle gran foto, non per mia bravura ma perché questa ragazzina giocava benissimo e aveva dei movimenti molto belli che si trasformavano in belle immagini di tennis. Fin da subito mi trovai a mio agio con Melania,Monica (la mamma) e Alessandro Bertoldero (coach) e così diventammo amici. Spero tanto che diventi una grande giocatrice perché ha tutte le carte per diventarlo. In più è di una simpatia unica, è bella e ha un gran senso dell’umorismo. Il mio ruolo all’interno del suo team è quello di fotografo/tifoso/sostenitore: la mia speranza è di vederla al più presto tra le prime 100 e sono convinto che questo possa succedere entro 3 anni. Poi nel tennis non si sa mai, quando 1 anno fa dissi che la Barty aveva i numeri per andare a N. 1 mi ridevano in faccia. Oggi è N.1.”
C’è qualche altro atleta emergente che segui?
“Melania è l’unica giocatrice che seguo da vicino per il rapporto di amicizia che mi lega a lei, ad Ale (Alessandro Bertoldero il coach) e Monica anche perché sono convinto che farà molto bene. Ci sono altri giovani molto interessanti e li seguo perché fa parte del mio lavoro, seguire quando possibile, i giocatori fin da giovani. Al momento son contento di seguire solo Melania.”
Un’ultima domanda, che consigli daresti a qualche fotografo che cerca di intraprendere la strada del fotografo sportivo?
“Ad un giovane che voglia intraprendere la carriera di fotografo sportivo consigliere di fotografare il più possibile qualsiasi sport, anche eventi locali e dilettanti. È un ottimo allenamento. Poi gli consiglierei di imparare più tecniche fotografiche possibile , tecniche di illuminazione artificiale e d’imparare ad usare alla perfezione i programmi di post produzione.”
A nome mio e di TennisCircus grazie mille per la disponibilità,vi consiglio di passare sul suo sito e sul suo account Instagram (seguite il link) per vedere qualche scatto meraviglioso e come si dice in questi casi
Buona Luce!