Un caffè con la Dott.ssa Elena Uberti

Di seguito riportiamo le parole della Dott.ssa Uberti, che ha parlato dell’importanza del fattore psicologico nel tennis femminile, ma anche delle aspettative che vengono a crearsi intorno ad una giovane atleta e se, a seconda della situazione, possano aiutarla o meno.

Non è un caso che venga chiamato “lo sport del diavolo”: il tennis è un puzzle composto da tante di quelle tessere che ne basta una fuori posto per non riuscire ad ammirare il quadro nella sua interezza. Talento, tecnica, tattica, resistenza fisica, forza, velocità, rapidità d’esecuzione, ognuna di queste componenti deve far parte del bagaglio del tennista e se state pensando che almeno una importantissima non compaia nell’elenco avete ragione. Ovviamente non è una dimenticanza ma è proprio l’oggetto della conversazione che abbiamo avuto con la Dott.ssa Elena Uberti, parliamo cioè della componente mentale. Elena è Psicologa dello Sport, Preparatrice Mentale e Istruttrice di tennis della FIT, l’abbiamo incontrata immediatamente dopo uno stage tenuto davanti a 12 allievi e davanti ad un caffè (per lei acqua naturale a dire la verità) abbiamo cercato di capire un po’ di più sulle dinamiche mentali che un tennista si trova ad affrontare nel corso di una partita, focalizzandoci in particolar modo sul tennis femminile. Roberta-Vinci_tennis-e-psiche-600x400

Partiamo da un dato significativo: in media un match è composto solo per il 15% dal gioco vero e proprio, il restante 85% si divide tra preparazione al servizio, routine, cambi di campo e quant’altro non rientri specificamente nella fase di gioco, tempo che i tennisti passano da soli con sé stessi, pensando, incitandosi, cercando di capire la tattica giusta o provando a resettare la mente dagli errori commessi. Sarebbe sufficiente già questo per capire quanto la componente psicologica sia percentualmente rilevante nel corso di una partita, anche se ovviamente questo è solo il macro-dato da cui partire per approfondire le analisi”.

Vox populi: nelle donne la variabile psicologica è ancor più accentuata rispetto agli uomini. È un’affermazione corretta?

In realtà non direi. Le dinamiche mentali e le possibili difficoltà nel corso di un match sono simili per uomini e donne, tuttavia uno degli elementi che potrebbe essere variabile è la capacità di riconoscimento e modulazione di stati emotivi e di modalità espressive di emotività. Ad esempio può capitare di vedere nei match femminili manifestazioni di sfoghi di pianto durante il cambio campo, più difficile riscontrare la medesima reazioni in giocatori; quest’ultimi invece possono presentare una gestualità o una comunicazione non verbale per certi aspetti piuttosto marcata (come ad esempio nella manifestazione di stati di rabbia o nervosismo) ma si tratta, appunto, di differenze individuali nella gestione di stati emotivi intensi, non di dinamiche psicologiche differenti per genere. Differenze che peraltro si evidenziano anche nella vita quotidiana: il tennis ne è uno specchio fedele.

Nel corso dei match femminili è permesso il coaching: si tratta di una reale necessità o è principalmente un supporto psicologico?

I match vengono preparati con cura da ogni giocatrice e dal suo staff tecnico, il bisogno del confronto con il coach durante una partita non pare scaturire tanto dalla mancanza di informazioni tecniche o tattiche per affrontare la partita. Tuttavia, gli allenatori vengono ricercati e interpellati molto spesso dalle giocatrici, se non in ogni set, almeno durante il match. In questo atteggiamento possiamo considerare una differenza tra uomini e donne, al netto della regola in sé, in quanto la giocatrice molte volte necessita di attenzioni e conferme rispetto a cosa stia accadendo in campo (nonostante il più delle volte sia la reiterazione di quanto già preparato nel pre-match) mentre per il giocatore, anche per impostazione culturale della nostra società, capita spesso di acquisire maggiore autonomia già nelle fasi di allenamento, imparando prima a trovare in sé le risposte di cui potrebbe sentire l’esigenza in campo. Per rispondere alla tua domanda, quanto detto denota spesso una matrice più psicologica che agonistica-tecnica nella richiesta di coaching. Inoltre, bisogna anche considerare il tipo di rapporto che si instaura tra atleta e coach, molte volte di tipo più esclusivo per quanto riguarda le donne, più centrato su aspetti tecnico-tattici per gli uomini. Tennis: Australian Open-Wawrinka vs Djokovic

La famiglia e le aspettative che ruolo rivestono per la crescita di una giovane tennista?

Qui, in un’unica domanda, hai toccato due argomenti distinti. La presenza e il supporto della famiglia sono senz’altro elementi fondamentali per la crescita di una giovane atleta, sia mentale che sportiva. Per le aspettative dobbiamo distinguere tra quelle personali e quelle del nucleo familiare. Le aspettative personali inducono già in sé una pressione emotiva; qualora il nucleo famigliare e delle persone a lei vicine inizi a traslare nell’atleta anche le proprie aspettative, potrebbe facilitare l’insorgere di una difficoltà proprio perché la pressione psicologica potrebbe rivelarsi eccessiva per una giovane tennista. Per questo motivo sarebbe più corretto affrontare l’argomento parlando di tipo di rapporto, funzionale o ingombrante. Nel caso in cui la famiglia possa fungere da supporto per la giovane atleta (ma il discorso vale ovviamente anche per i maschi) con costanza ed attenzione, senza aggiungere ulteriori pressioni per i risultati, questo costituisce un fattore senz’altro d’influenza positiva. La giocatrice potrebbe sperimentare l’autentica vicinanza dei famigliari rispetto non solo alla valutazione della propria attività sportiva ma anche in quanto valore come ragazza e come figlia. In caso contrario l’eventuale mancanza di risultati e la critica eccessiva, potrebbe indurre una certa difficoltà emotiva nell’atleta, proprio per la percezione di inadeguatezza vissuta nell’incapacità di soddisfare le aspettative dei propri genitori.

Te la lancio come provocazione: una famiglia disinteressata potrebbe paradossalmente agevolare la crescita?

Non la vedrei proprio così: bisognerebbe considerare attentamente il caso specifico, prima di tutto chiedendoci le cause per cui il nucleo familiare mantenga una posizione disinteressata o evitante. Qualora il contesto sistemico relazionale mettesse in luce delle resistenze evidenti, la difficoltà potrebbe essere addirittura più profonda ed in questo caso esuleremmo da discorsi puramente sportivi per addentrarci nel considerare altri tipi di problematiche.

Ultima domanda: la preparazione mentale si “allena”?

Certamente, il Mental Training applicato in un intervento specializzato di Psicologia dello Sport è un percorso che permette all’atleta di raggiungere risultati in termini di maggior consapevolezza, di individuazione di difficoltà specifiche e di strategia più funzionale per l’espressione ottimale delle proprie risorse, di gestione dei momenti critici, solo per citare alcuni aspetti. È un supporto fondamentale, di cui sempre più atleti si servono per migliorare le proprie performance agonistiche, salvaguardando il benessere psicofisico e sostenendo alti livelli di motivazione e soddisfazione.

Massimo Gizzi

Qui il link originale: http://tennisrosa.altervista.org

Nel ringraziare la Dott.ssa Uberti per il tempo che ci ha dedicato, vi invitiamo ad approfondire la tematica seguendo la sua pagina facebook pubblica e consultando il suo sito web

Elena Uberti – Psicologa

www.elenauberti.com

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