IL PRESENTE
Come recita il famoso proverbio: non c’è due senza tre. Dopo Flavia Pennetta e Roberta Vinci, anche Francesca Schiavone dice addio al tennis giocato. Una carriera lunghissima, quella della milanese, iniziata 20 anni fa e che ieri, tramite una conferenza stampa in pieno US Open, ha raggiunto il capolinea. La notizia era nell’aria già da tempo dato che, a 38 anni e con una classifica certamente non agevole, non è facile mantenersi competitive in un circuito come quello femminile, costellato di picchiatrici da fondo campo che, col tempo, sono sempre più difficili da arginare; perché la Leonessa, competitiva, lo è stata fino all’ultimo. Un po’ come la Robertina nazionale a maggio, Francesca ha preso questa decisione in assoluta tranquillità, dichiarando di sentirsi serena, felice e appagata. “Ho fatto tutto quello che volevo e ho realizzato tutti i miei sogni“- ha comunicato ieri. Parole bellissime quelle dell’italiana, che risuonano come una dolce melodia cantata da chi, pur non avendo una voce che spacca, ha saputo lasciare il segno in ogni spettatore accorso a sentirla, grazie ad un graffiato che solca l’anima. La Schiavone è sempre stata una giocatrice completa, dotata di un talento naturale, la cui forza non è mai stata la potenza quanto l’intelligenza tattica, condita dal classico colpo di fioretto che, nel periodo migliore della sua carriera, le ha donato la gioia di abbracciare la coppa del Roland Garros. Ma Francesca non è stata solo una grande giocatrice e una grande campionessa, è stata l’esempio di come l’amore per il proprio lavoro sia l’ispirazione che può portare un’atleta a rimanere all’interno del circuito anche quando sa che forse non riuscirà più a vincere, perché essere una tennista non è solo un impegno, ma soprattutto una passione gioiosa, e nessuno meglio della milanese ha saputo incarnare questa visione così positiva del tennis e dello sport in generale. Non una sola frase inerente alla stanchezza o allo sfinimento fisico ed emotivo è stata proferita dalla milanese, così come nessuna rivendicazione di quanto sia difficile essere una sportiva professionista; il commiato è stato costellato unicamente da ricordi positivi e dalla consapevolezza che il proprio percorso, prima o poi, era destinato a concludersi.
UN BALZO NEL PASSATO
A 38 anni la Leonessa, che nel 2018 ha disputato solamente 12 partite in singolare e 3 in doppio, saluta il circuito dopo una carriera caratterizzata da successi incredibili e traguardi storici; su tutti lo Slam vinto a Parigi nel 2010 in finale contro l’australiana Samantha Stosur. Con la vittoria al Roland Garros, nel 2010, la Schiavone è diventata la prima italiana –la terza azzurra in assoluto dopo Nicola Pietrangeli e Adriano Panatta– a trionfare in un torneo del Grande Slam in singolare, cinque anni prima di Flavia Pennetta agli US Open 2015, nella storica finale tutta nostrana con Roberta Vinci. Assieme a Flavia, Roberta e Francesca (Sara Errani non la citiamo solo perché ancora in attività) se ne va una generazione d’oro di tenniste italiane, campionesse in grado di trascinare il nostro paese alla conquista della Fed Cup nel 2006, 2009 e 2010 (nel 2013 Francesca non era presente). La milanese, unica giocatrice azzurra ad aver disputato due finali del Grande Slam (nel 2011, sempre ai French Open, perse dalla cinese Na Li), ha vinto in totale 8 tornei WTA in singolare e 7 in doppio ed è stata numero 4 del ranking nel Gennaio 2011 -posizione mai raggiunta da nessun’altra connazionale- grazie al successo negli ottavi di finale degli Australian Open 2011 su Svetlana Kuznetsova dopo 4 ore e 44 minuti di gioco, la partita più lunga di sempre nella storia del tennis femminile. Di Francesca non si potranno mai scordare le superbe discese a rete, il rovescio ad una mano, la schiettezza caratteriale, talvolta al di sopra delle righe, ma soprattutto l’inesauribile grinta, un aspetto di cui non tutte le odierne top player sono dotate.
IL FUTURO
E’ risaputo che chi si nutre di sport non può farne a meno, ecco perché la Leonessa ha deciso di dedicarsi all’allenamento, come naturale prosecuzione di ciò che è sempre stata, ovvero una sportiva al 100%. Da qualche mese si trova a Miami, dove ha iniziato a seguire diversi appassionati (alcuni giovanissimi, altri meno) e a Francesca questo ruolo non sta per nulla stretto, tutt’altro. Le calza a pennello come un abito creato su misura, apposta per lei. “Vorrei vincere un altro slam da allenatrice” è un’affermazione corrispondente a quanto, per lei, il campo e la competizione significhino tutto nella vita e nel momento in cui non può usarle per se stessa le dedica e le profonde a qualcun altro. Questo si chiama essere una fuoriclasse, oltre che una campionessa dal cuore d’oro. Infatti non esclude un giorno, qualora le venisse proposto, di essere disposta a seguire le ragazze della Fed Cup e conoscendola non è difficile immaginarla a bordo campo, ad esaltarsi e infervorarsi per stimolare le proprie giocatrici a dare tutto, come d’altronde ha sempre fatto nel corso della splendida carriera che ha vissuto.
Mancherà a tutti Francesca, soprattutto ai nostalgici di uno stile di tennis in via d’estinzione di cui lei, Radwanska e oggi Sevastova sono portatrici solitarie. Si sentirà la mancanza dei suoi salti dopo aver conquistato un punto eccelso, dei suoi auto-incitamenti dopo un punto perso, dei suoi sorrisi sempre gratuiti e specialmente della sua persona, lei che è stata una campionessa normale, semplice, capace di andare al servizio fotografico post-Roland Garros in tuta da ginnastica, esattamente in linea a come l’abbiamo sempre vista in ogni appuntamento importante a cui ha partecipato. Perché per lei la sostanza è tutto, la forma un’aggiunta non imprescindibile. Augurarle il meglio è doveroso, sperare di vederla ancora felice e positiva anche in futuro obbligatorio.