Jannik Sinner e la rinuncia alle Olimpiadi di Parigi: io sto con Jannik

Non si placano le polemiche per il ritiro di Jannik Sinner dalle Olimpiadi di Parigi

Il primo quindici del torneo olimpico di tennis sta per essere giocato e ancora le polemiche per il forfait di Sinner infiammano, oltre le tonsille di Jannik, anche opinione pubblica ed addetti ai lavori.

Malago’ e Binaghi, ovvero i presidenti di Coni e FITP, non hanno più lacrime per piangere le possibili medaglie d’oro sfumate con il ritiro dell’altoatesino mentre la maggior parte dei giornalisti ed appassionati di tennis non riesce ancora a digerire la mancata partecipazione dell’azzurro a Parigi 2024.

Le critiche, anche velenose, piovono senza tregua come durante il diluvio universale: era già successo, quando Jannik, allora guidato da Riccardo Piatti, scelse di non partecipare alle precedenti Olimpiadi di Tokyo 2021. Tuttavia quel Sinner non è questo Sinner e la tempesta mediatica si calmò all’epoca più rapidamente.

Dunque l’Italia si è divisa tra colpevolisti, molti, ed innocentisti, molti meno. Io, nel mio piccolo, mi schiero dalla parte di Jannik. Non perché sia uno tra i miei giocatori preferiti, non perché ci abbia regalato uno Slam e una Coppa Davis dopo una vita passata ad applaudire gli altri, non perché sia il primo tennista italiano ad essere diventato Numero Uno al mondo.

La mia difesa non è figlia della riconoscenza incondizionata che un appassionato come me gli deve dopo decenni di – quasi – nulla cosmico a livello tennistico. I motivi per i quali appoggio la scelta impopolare di Sinner sono ben diversi.

Ricordiamo innanzitutto come il tennis non sia stato sport olimpico dal 1928 al 1984 e solo da Seul 1988 è stato reintrodotto nel programma dei Giochi. Inoltre le Olimpiadi di tennis, al contrario di quanto accade per altre discipline come l’atletica leggera, non fanno la Grandezza di un atleta.

Storicamente in questo sport la Grandezza di un tennista è determinata in modo differente, assolutamente in prima battuta dal numero di Slam vinti. Se date un’occhiata all’Albo d’oro delle Olimpiadi di tennis, tranne lodevoli eccezioni, non siamo di fronte all’espressione massima del meglio del meglio di quanto questo sport abbia offerto nel corso dei decenni.

Le Olimpiadi generalmente non sono mai state un obiettivo prioritario nel corso della stagione, almeno per quanto riguarda i giocatori più forti del circuito. E ciò proprio perché il tennis storicamente ha sviluppato dinamiche interne, come abbiamo messo ora in evidenza, che lo contraddistinguono da altre discipline sportive.

Tutto ciò premesso, mettiamoci per un attimo nei panni Nike di Jannik. Non è stato bene a causa di una tonsillite: il – piccolo – malanno lo ha probabilmente debilitato quanto basta per costringerlo a riflettere sul da farsi.

Su un piatto della bilancia, torneo olimpico di singolo e doppio, e forse pure il doppio misto. Sull’altro piatto, la lunga tournée americana a rischio, dove perderebbe i punti della Roger Cup vinta l’anno scorso ed i punti di Cincinnati, entrambi tornei Master 1000, con la possibilità concreta di arrivare agli US Open impreparato per competere ad alti livelli. Ovvero vincere.

La decisione presa da Jan è dolorosa per tutti, lui compreso, ma logicamente fondata. Certo, a Parigi Alcaraz e Djokovic giocano, e fanno bene per carità, ma per quanto fin qui messo in evidenza, Jannik ha scelto il meglio per se stesso e la sua carriera. E da quanto dimostrato finora, il meglio per lui è anche il meglio per noi appassionati italiani, statene certi.

Dopotutto Jan è giovanissimo e avrà ancora almeno altre due occasioni di partecipare alle prossime edizioni dei Giochi Olimpici.

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