Prendo una licenza sulla lingua latina per fare il titolo: del resto esistono sostantivi in latino col genitivo in -is, quindi non ho commesso un crimine efferato. Roma è stata per una settimana la capitale del tennis mondiale, e ha offerto una finale, quella tra Andy Murray e Noval Djokovic non proprio scontata.
Il bilancio di questa edizione è sicuramente positivo in termini di interesse mediatico e parterre giocatori, cui ha fatto da cornice il pubblico romano (e italiano), con tante presenze e molto calore. Il campo dei partecipanti è stato senza dubbio di grande qualità: intanto Roger Federer, che ha onorato il Foro Italico con due prestazioni di gran classe, acciacchi permettendo. La carriera della leggenda svizzera non era mai stata macchiata da infortuni fino a questa stagione, ma nonostante le pochissime partite giocate, Federer ha offerto spettacolo tennistico, ed è certamente un peccato vederlo uscire di scena ai sedicesimi, ma tant’è. Dominik Thiem ha approfittato di questa possibilità e ha messo il naso nei quarti di finale, giusto per ricordare al mondo degli aficionados che in futuro le cose potrebbero protarsi fino alla domenica.
Rimandato con merito (molto) Rafa Nadal. La vera finale di questa edizione n. 86 si è giocata nei quarti di finale ha detto qualcuno. Tutto sommato c’è da riconoscere che quel match, tiratissimo, giocato ad un ritmo spaziale e decisamente poco umano, ha rappresentato uno dei vertici (se non il vertice) di questa edizione. Murray è arrivato in finale giocando un tabellone degno di un buon atp250: Kukushkin, Chardy, Goffin, Pouille. Djokovic ha dovuto sudare le proverbiali sette camicie già contro Robert, sapendo soffrire (tanto) contro Bellucci e sfoderando poi due prestazioni monstre in quarti e semifinale. C’è abbastanza materiale per parlare di edizione storica, senza dubbio, per il serbo.
Tra i “salvati” (citando a sproposito Primo Levi) ci sono il già citato Thiem, il miracolato Pouille, Kei Nishikori (con molto merito) e il redivivo Pico Monaco (attenzione a festeggiare già la vittoria di ItalDavis a Pesaro, credo che l’esito più scontato sia una “bella” sconfitto, ma vedremo) e il belga Goffin, anche lui in cerca delle forze per abbordare la top ten.
Tra i “sommersi” invece abbiamo solo l’imbarazzo della scelta: Stan Wawrinka, che si affaccia alla difesa di Parigi con le armi spuntate e le polveri bagnate. David Ferrer, con il motore che ruggisce ancora ma tanti problemi a rallentare il suo usurato telaio. Nick Kyrgios rimandato a settembre e col beneficio del dubbio viste le buone prestazioni offerte contro avversari di tutto rispetto. Thomas Berdych, che ha riconfermato la straordinaria capacità di perdere occasioni importanti. Richard Gasquet, che vede il suo connazionale ben poco titolato in semifinale e conferma il detto “un grande avvenire dietro le spalle” (cit. Vittorio Gassman).
Stendiamo l’ennesimo, largo, velo pietoso sulla prestazione dei nostri maschietti. Ne abbiamo già abbondantemente scritto: siamo ancora nella fase “quantità”, sicuramente propedeutica a quella della “qualità”, ma ci chiediamo, sempre citando Levi, “Se non ora, quando?”. Chi doveva garantire un po’ di qualità è fermo ai box (Bolelli, e chissà con quali programmi…) o ha la testa altrove (Fognini). Gli altri hanno onorato il vero appuntamento col Foro, quello col carrozzone delle prequalificazioni, la cui inutilità è seconda solo a quella della loro copertura in diretta tv.
Seppi ancora infortunato ma coriaceo, Lorenzi sotto tono, e tutti gli altri che hanno “perso bene”. Le notizie da Caporetto erano più rassicuranti.
Ci vediamo l’anno prossimo, sperando nel futuro.