Accademie spagnole, un modello da seguire?

Accademie spagnole , modello da seguire in toto? Cosa c'è dietro il successo di una scuola che ha prodotto un fenomeno, altri 2 number 1 in meno di 20 anni e tanti, tanti top 50.

Accademia  spagnola di tennis sinonimo di successo. L’equazione è ormai consolidata, e l’organizzazione che le accademie  spagnole si sono date nel tempo è il modello cui si ispirano molte federazioni, anche in paesi tennisticamente non di grande tradizione come il Canada , ma che oggi raccolgono i frutti delle sinergie tra  istituzioni pubbliche e  strutture private. Le accademie di Barcellona e Valencia hanno regalato al tennis tanti campioni.

L’accademia tennistica in Spagna è stata la naturale conclusione di un processo di riorganizzazione dei circoli sul territorio nazionale ; l’assemblare i circoli in sottozone su base regionale prima e l’avvento dei primi team privati poi ne ha, di fatto, favorito la nascita. Tutto parte dalla mentalità aperta con cui i maestri , in massima parte ex-giocatori professionisti , hanno scelto di affinare le loro competenze e prestare la loro opera non privatamente, ( le lezioni private in Spagna non costano molto n.d.r.!) ma  diventando colonna portante di una struttura che favorisse la crescita dei ragazzi   a tutto campo e la conseguente nascita di campioni.

Il metodo spagnolo presenta  una  struttura leggerissima,  una fortissima motivazione, una feroce  applicazione e un metodo capillare. Il modello seguito  mette insieme diversi aspetti. La presenza di almeno un campione che  crei  un riferimento importante per i giovani di una generazione; secondo, il clima che  in Spagna è favorevole e permette di giocare molto all’aperto durante tutto l’arco dell’anno e questo vale  anche per i bambini; quindi il livello medio che  è elevato e le competizioni che  sono numerose e  generalmente di standard qualitativi notevoli. La quantità elevata di tornei  consente poi di ottenere risultati, a prescindere dalla metodologia di allenamento. Le competizioni a livello giovanile  sono comunque considerate uno  strumento allenante e non il  fine dell’attività svolta. Si comincia a competere presto, anche prima dei 10 anni ma, essendo il fine squisitamente formativo , non si corre il rischio di indebita pressione su ragazzi tanto giovani. Vi sarà un tempo debito per quello, ed arriva , generalmente, intorno ai 13/14 anni. Le competizioni ufficiali vissute con un fine prettamente agonistico  , infatti,  possono  dar luogo a un ranking che, se visto nel modo errato, può determinare spesso aspettative e atteggiamenti negativi anche da parte dei maestri, non solo da parte dei ragazzi e dei genitori. Le potenziali problematiche sono quindi risolte ab origine con un approccio snello dal punto di vista psicologico ed una giusta collaborazione con le famiglie. Altro aspetto fondamentale è il valutare da subito la disponibilità al lavoro dei ragazzi ,secondo il principio che il lavoro duro paga sempre, si  da  molta importanza a certi valori: lo spirito di sacrificio, la capacità di soffrire, e la fame di successo.

Quando e chi  entra nelle accademie?

Premesso che teoricamente l’accademia è luogo aperto a tutti , un  lavoro di scrematura viene fatto prima .I ragazzi che mostrano una buona attitudine, non necessariamente una eccelsa propensione,  entrano in accademia da piccoli e spesso vi rimangono fino al completamento del ciclo delle scuole superiori. La disponibilità dei maestri, la presenza di una buona struttura scolastica e la familiarità che si crea con i componenti del  team favoriscono il lavoro secondo le finalità prefissate , finalità che sono assolutamente individuali; nessun allievo avrà un percorso uguale a quello di altri. La presenza di psicologi che lavorano sui maestri (non sugli allievi direttamente) aiuta questi ultimi ad individuare il miglior percorso per ogni allievo ed a risolvere eventuali criticità. Non solo ragazzi piccoli ;  entra in accademia   chi, spesso , sta già giocando tornei a vari livelli, magari  è alla ricerca di un posto dove poter meglio sviluppare il proprio tennis o piuttosto cerca di  uscire da momenti di stallo del proprio gioco. Ed ecco perchè molti giocatori professionisti di livello hanno scelto di andare e rimanere in Spagna , ben noti sono gli italiani che ormai vi risiedono abitualmente; enorme il numero di campioni ATP e campionesse WTA che ne sono usciti e che  vi ritornano periodicamente, poichè si ha la  possibilità di essere affiancati sempre da persone che navigano nel circuito maggiore da anni e spesso anche  da ex o attuali top-10.

Il metodo di base   prevede che ci si  concentri sostanzialmente  su due aspetti del gioco.  Il primo è la tattica , ovvero insegnare ai giocatori come affrontare i match, la strategia giusta che può portare al risultato. L’altro è curare la resistenza, allenandosi in un certo modo, per far sì che il fisico non vada incontro a brutti scherzi e possa essere integro e non dare problemi durante le partite. Sin da piccoli, infatti, si dedica più del 30% del tempo all’allenamento fisico sotto la guida di trainers specializzati .  Infine è importante che ogni ragazzo assuma una propria identità di gioco attraverso il confronto con giocatori teoricamente  più forti, senza mai cercare le vittorie facili. Questo fa si che i giocatori crescano  sempre con i piedi per terra, secondo il principio che lo spirito competitivo si affina anche nelle sconfitte.

La difesa aggressiva.

La difesa aggressiva è stato il fiore all’occhiello tecnico-tattico delle accademie spagnole ed ha spazzato via l’assioma secondo il quale  il gioco spagnolo è il gioco «pallettaro» per eccellenza. Tecnicamente è ben noto come questo gioco si basi sull’uso di spins estremi  creando progressivamente, lungo lo scambio, le premesse per chiudere il punto e su una resistenza fisica estremamente elevata. Questa trama di gioco con le sue varianti si è rivelata assai vincente nel corso degli ultimi decenni, ma , paradossalmente, può essere una concausa dell’oggettiva crisi di giovanissimi talenti che attanaglia il tennis spagnolo, specialmente sul versante maschile. L’enorme dispendio fisico che esso prevede con le ovvie conseguenze in termini di infortuni,   l’aver trovato le chiavi tattiche per affrontarlo con successo da parte di giocatori che non ne fanno il proprio schema di base, ha posto un problema per il futuro dell’ortodossia tennistica spagnola. Un ciclo si avvia inevitabilmente alla fine, come lo stesso Rafa Nadal ha dichiarato più di un anno fa prevedendo un futuro prossimo non roseo per il tennis spagnolo e per quelli che, tra i giovani provenienti anche da altre nazioni ,hanno fatto propri  i suoi principi  base in modo integrale.

Questo ovviamente non toglie nulla alla validità dell’approccio e del metodo delle accademie spagnole che, comunque sia, rimane il benchmark principale per qualunque federazione voglia investire seriamente  e migliorare il proprio livello mirando, magari, a creare altre fucine di campioni. Per noi italiani c’è molto su cui meditare.

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