Correva l’anno 1977… Un ragazzo magro, coi capelli neri e ricci e un look mediamente da rockettaro giunge, inaspettatamente, alle semifinali di Wimbledon. Proveniva dalle qualificazioni e solo in pochi conoscevano il suo nome, nonché il suo talento incredibilmente brutale, cristallino, indisciplinato, ma allo stesso tempo strabiliante come la visione dell’aurora boreale. Quel mascalzone era John McEnroe. Statunitense ma nato in Germania, figlio di un militare di origini irlandesi, ad un anno si trasferì a New York nel quartiere del Queens, un borgo popolare e socialmente difficile in cui il giovane Johnny crebbe avendo a che fare, ogni giorno, con situazioni e coetanei non proprio da salotto borghese. E quel temperamento da teppista, in parte viziato da un padre troppo protettivo e da una madre petulante come poche, fu messo in scena proprio in quell’edizione di Wimbledon, dove l’esordiente McEnroe, insensibile al bon ton imposto dalla corona britannica, si rese protagonista di prestazioni sportive da copertina accompagnate da sfuriate che oggi sarebbero premiate col Tapiro di Striscia la Notizia. Il brutto carattere e la continua mancanza di rispetto per il pubblico, gli arbitri, i guardalinee e anche gli organizzatori del torneo (abituati a ben altri comportamenti) lo resero più famoso delle sue volée che sfidavano la forza di gravità. Non c’era anima viva che non venisse presa di mira dalla rabbia di Mac quando qualcosa, secondo la sua psicologia distorta, non andava come da lui previsto. “Quando compii 18 anni, mi avvolsero una vite tra i capelli e quello fu l’inizio della fine” -ha ricordato Johnny, anni fa, in un’intervista, riconoscendo che una volta liberata la bestia che albergava dentro di lui, non era più in grado di controllarla. Infatti quella maledetta belva veniva fuori prepotentemente ad ogni partita e si procurava critiche e fischi dal pubblico in ogni stadio in cui andava, ma sugli spalti in molti, anzi moltissimi, amavano quel lato oscuro di McEnroe. Il suo gioco è stato un’autentica delizia per il palato degli amanti del tennis di quel tempo e non in pochi pregavano che perdesse i nervi e affrontasse, con la spavalderia di un bullo, anche l’ultimo spettatore dello stadio. Era parte dello spettacolo: tutti lo sapevano e tutti si divertivano anche per questo. “Sono una persona emotiva; quando giocavo il pubblico sapeva che non lo avrei ingannato, che non avrebbe buttato il proprio denaro. Davo agli spettatori quello che avevo, tennis e carattere, e loro lo sapevano“. McEnroe si è comportato così per tutta la vita. Quando era piccolo giocava a basket e ha avuto una discussione così pesante con il suo allenatore da essere espulso dalla squadra. L’americano si vantava, anche, di uscire la sera prima delle partite, di bere alcolici, di fare sesso fino alle prime ore del mattino e di allenarsi mediamente poco. “Non ho corso più di 40 miglia nella mia vita, mi annoia la corsa, preferivo allenarmi giocando. Mentre gli altri si esercitavano per cinque o sei ore, io lo facevo solo due volte alla settimana” -ha ammesso di recente superMac, sebbene al giorno d’oggi, con la tipologia di tennis che si gioca e i ritmi frenetici del circuito, sarebbe impossibile tenere il passo allenandosi a singhiozzo. John McEnroe ha ricevuto parecchie multe durante tutta la carriera, a causa del suo comportamento inappropriato; a tutt’oggi non si sa quanto abbia dovuto sborsare l’ex tennista per le sue intemperanze, ma di certo con quel denaro avrebbe potuto acquistare una barca di 15 metri, come minimo. Ne ha combinate di ogni The Genius: dallo sputo per terra ai numerosi insulti agli arbitri, e non ha esitato ad affrontare il pubblico, che a sua volta è stato appellato in ogni modo, con gesti o frasi ingiuriose. Ha spaccato racchette, oppure le ha lanciate verso gli spalti. Ha dato calci ai cartelloni pubblicitari e interrotto le partite per discutere (spesso del niente) col giudice di sedia. La lista degli atti impuri di Johnny è infinita e lui stesso lo ha ammesso senza remore: “So che il mio carattere mi ha penalizzato parecchio, durante la mia carriera” -ha riconosciuto il sette volte campione slam, che in uno sport definito di classe e d’élite come il tennis, dove tutto era corretto, educato, pulito, e persino troppo serio, lui si è imposto come un elefante in un negozio di porcellane e, in parte, questa sua identità così controcorrente ha aperto la porta a molte altre personalità simili, che sono emerse da allora in poi. In molti amavano John McEnroe per aver infranto la regole del bon ton, e quel personaggio così surreale è sempre stato il suo segno distintivo. Anche oggi, in veste di commentatore, continua a elargire alcune magnifiche perle espressive, un misto di irriverenza unito ad un umorismo dissacrante che non fa mai male. Almeno ai non deboli di stomaco.
Anche se a molti puristi della materia potrebbe storcere il naso, ci sono diversi raffronti tra l’ex tennista statunitense e l’attuale figura di Nick Kyrgios, il rampollo di Canberra che, in quanto a comportamenti bislacchi e spesso privi di senso, più di tutti ricorda la sagoma dell’antenato americano, sebbene al momento solo sul piano dell’atteggiamento, dato che come titoli vinti il paragone è impietoso. Anche lui, quando aveva 18 anni e nessuno sapeva chi fosse, si è presentato agli occhi del mondo centrando i quarti di finale a Wimbledon, dopo aver sconfitto Rafa Nadal in una partita impressionante da parte sua, con colpi impossibili che hanno lasciato a bocca aperta più di uno spettatore. Il suo talento era innegabile già allora e molti dissero che aveva le stimmate del futuro numero uno. Ai successivi quarti di finale avrebbe potuto battere Milos Raonic, ma la maggiore esperienza del canadese ebbe il sopravvento, così come la già assorbita disciplina della pazienza. Da quel momento in avanti, dopo l’euforia di aver scoperto un nuovo talento, la carriera di Kyrgios si è distinta prevalentemente per gli sbrocchi in campo, in pieno stile McEnroniano. Esattamente al pari del suo coach della Laver Cup, Kyrgios odia l’allenamento ma, come accennato prima, i tempi sono cambiati e ora il tennis è molto impegnativo a causa dei nuovi materiali e delle superfici e ciò è fonte di problemi e infortuni, specialmente nei dorsali, se non ci si prepara a dovere. La curvatura della schiena dell’australiano è un chiaro segnale di come, senza un adeguato allenamento, il rischio di non poterla muovere sia altissimo in assenza delle giuste sollecitazioni. Ma non è finita qui. Nick Kyrgios passa le notti a guardare l’NBA, la sua vera passione, a suonare la consolle oppure ad uscire con gli amici. Ad Acapulco, dove ha vinto un mese fa, ha dichiarato che nei pomeriggi andava con un amico a praticare il jet ski e poi giocava a tutto tranne che a tennis. A Cincinnati, dove due anni fa ha raggiunto la finale contro Dimitrov, ha ammesso di aver mangiato il gelato prima delle partita e di aver giocato a basket fino a pochi minuti prima dell’incontro. Durante il gioco, a Indian Wells, lo abbiamo visto acciuffare una manciata di patatine fritte dal sacchetto di un ragazzino che guardava la partita. Infatti il giorno dopo, come premio, non ha potuto disputare la semifinale contro Roger Federer, attanagliato da bel mal di pancia. Judy Murray lo ha definito un genio e non le si può dare totalmente torto. I Geni, spesso, sono persone incomprese dagli altri e vengono criticati perché si rifiutano di seguire il gregge e le convenzioni. Kyrgios è stato a dir poco vituperato per aver servito dal basso contro Nadal in Messico, quando si tratta di un colpo totalmente legale e inglobato all’interno del regolamento. Non è convenzionale né usuale, ma non è irregolare, e chi lo ha usato è il campione dell’anticonformismo per antonomasia se ci si fa caso. Infatti il problema non è il colpo in questione, ma chi ha osato utilizzarlo. Oramai qualunque cosa faccia Kyrgios otterrà più riverbero del risultato finale della partita, esattamente come accadeva con McEnroe, ma John si comportava molto peggio. L’americano, lo dice la sua storia, mancava enormemente più di rispetto agli avversari e al pubblico, ma in tanti oggi lo ricordano con un sorriso nostalgico, per essere stato un giocatore speciale e diverso dalla massa. L’australiano offre lo stesso spettacolo, difatti è la pecora nera tra i tennisti, quello che si distingue per diseducazione e irriverenza. Insomma, è un ragazzo dei nostri tempi Kyrgios e, che piaccia o no e, in un circuito come questo è necessaria anche una personalità come la sua. Non deve essere amato o apprezzato per forza, ma non si può ostracizzare qualcuno capace di tagliare i tempi della conferenza stampa a piacimento, di dire quello che gli passa per la testa e di non offrire il classico siparietto di frasi fatte (talvolta al limite dell’ipocrisia) che la maggioranza dei professionisti usa. Niente di più facile su questa terra che asserire l’ovvio, ma niente di più difficile che dire ciò che si pensa senza filtri. Come succedeva ai tempi di SuperMac, anche Kyrgios viene fischiato nel corso dei match e viene disturbato durante gli scambi o l’esecuzione del servizio, ma sa ripagare il pubblico stizzito e contrariato con giocate da copertina che, in questi tempi di regolarità o accelerazioni disperate da fondo campo, sono una manna dal cielo. Certamente l’australiano dovrebbe cambiare alcuni suoi atteggiamenti e dovrebbe impegnarsi maggiormente durante il gioco; non è ammissibile farsi battere ancor prima di aver disputato tre miseri games o ritirarsi appena le cose si mettono male e non è accettabile usare il pretesto di un fantomatico errore arbitrale per regalare il titolo a qualcuno, con sdegno e piaggeria, come accaduto a Pechino 2017. A Nick Kirgios probabilmente manca una finale importante, come fu quella di Wimbledon 1980 per John McEnroe, un’occasione in cui mettere in campo tutto se stesso, per cercare quella gloria e quella consacrazione che lo possano aiutare a diventare un vero campione. Forse questa possibilità, che al momento sembra davvero remota, non arriverà mai. Forse l’australiano non sarà mai quel campione che potrebbe e dovrebbe essere, ma alla fine è la sua vita e la sua carriera ed è lui che deve decidere come viverle. Al di là di ciò che si potrà scrivere su di lui da qui all’eternità, nella storia del tennis verrà ricordato come uno dei giocatori più spettacolari ma anche più indisciplinati del circuito e, per noi comuni mortali abituati a fare la fila alle poste e a vederne di ogni, questa non sarà mai una tragedia insormontabile.