Il pagellone maschile degli Us Open

Andy Murray 0: Pessima prova del baronetto scozzese, che non mostra certo, nell’ultimo Slam stagionale, la correttezza britannica che tanto, nei quartieri reali, si professa da secoli.
Attende l’ultimo giorno e, a sorteggio avvenuto, comunica la propria decisione di ritirarsi dal torneo, falsando così una parte bassa del tabellone che magicamente diviene la landa della desolazione.
Comportamento discutibile, visto e considerato che l’infortunio per il quale lo scozzese ha preso la decisione lo perseguita presente da mesi.

Sasha Zverev 2: Non capisco. Nuovamente, dopo essersi reso protagonista di un’ottima stagione nordamericana vincendo il Master 1000 di Montreal, cade al secondo turno nel torneo dello Slam che segue. Stavolta è Coric ad estrometterlo, piccolo talento croato che tanto, dalla parte del rovescio, mi ricorda Novak Djokovic. Intendiamoci, come scritto tante volte rimango dell’idea che il tedesco sarà, nella futura generazione, il più vincente tra tutti. Ha dalla sua una costanza di rendimento, soprattutto in partite apparentemente agevoli, che riuscirà a compensare il minor talento grezzo donatogli da madre tennis. Queste sconfitte, però, sono inspiegabili. Sasha ha all’attivo due titoli 1000 ed attualmente occupa la quarta posizione nel ranking mondiale. In carriera ha, finora, giocato 10 Slam, raggiungendo soltanto una volta il quarto turno.
Non vorrei mai che questo problema di rendimento, con il tempo, possa diventare cronico.

Fabio Fognini 0: Cosa c’è bisogno di aggiungere? Fabio perde al primo turno con Travaglia e viene squalificato dal torneo di doppio, nel quale era ancora in gara con Bolelli, per condotta antisportiva. Immagino tutti voi conosciate i fatti di cronaca. Comportamento ingiustificabile, che la stampa prende al volo montandone un caso di stato. Si finisce a parlare di sessismo, cattivo esempio per bambini in fase di sviluppo (come se da ora, tutte le imprecazioni pronunciate nella penisola italica fossero da attribuire al ligure), processi ed interessi famigliari, quando invece, essendo un Slam, si dovrebbe parlare soltanto di tennis.
Tralasciamo il tutto scrivendo un semplice 0 in pagella. Niente di più e niente di meno.

Denis Shapovalov 9: Che splendido spettacolo di tecnica, talento e personalità. La partita con Tsonga è un trionfo di sfarfallante potenza.
Denis è tutto. Giovanissimo, immensamente dotato e mediaticamente già pronto per vcatalizzare le attenzioni dei media che mai si innamoreranno del lampione tedesco o dello sfrontato Kyrgios. Il suo rovescio, impattato in risposta con entrambi i piedi in elevazione dal suolo, è poetico. Diciott’anni, nel primo quarto di finale di un Major quando, dall’altra parte della rete, ti ritrovi davanti Carreno Busta, si fanno sentire, ed infatti arriva puntuale la sconfitta in tre set. Attenzione, però, a fidarsi solo del punteggio. La partita del canadese è stata ottima, e questa è, per lui, la miglior notizia possibile, ancor più del risultato in sè che già fa ben sperare in vista di un futuro certamente brillante.

Roger Federer 6.5: Nessuno è stato in grado di comprendere quali fossero le reali condizioni fisiche del Vate claudicante.
Contraddittorio in conferenza stampa, alterna “non sono in condizione, ma è solo colpa della preparazione” a “ho sentito fastidio ai muscoli, ero rigido e non riuscivo a spingere”. Il dubbio rimarrà in eterno.
I fatti, invece, indicano un Federer in lampante difficoltà nei primi due match, rispettivamente con Tiafoe e Youzhny, prima di due semplici allenamenti con i vassalli di sempre Lopez e Kohlshreiber.
Giunge l’ora della sfida con Del Potro, che a tanti ricorda quella che nel 2009 si giocò tra i due per la conquista del titolo. Federer perde, in quattro set che sarebbero potuti essere tre, ma ancor più cinque, ed in quel caso chissà…
Un torneo sotto le aspettative, come tutti quelli (due) disputati dopo Wimbledon. Per lo svizzero arriva anche uno smacco in chiave classifica, che vede Nadal allontanarsi immensamente. In vista di conoscere la reale programmazione di Federer da qui a stagione, risulta ora decisamente più complicato per lui raggiungere il desiderato traguardo della vetta della classifica.

Pablo Carreno Busta 9: Ferrer 2.0 alla ribalta in una landa della desolazione nella quale nessuno sembra voler raggiungere la finale. Paziente, tatticamente furbo, ha dalla sua tutte le qualità che hanno reso famosa nel mondo la scuola spagnola. Cagnaccio, l’ho definito la scorsa settimana dopo la vittoria nei quarti di finale con Shapovalov, ma il senso del termine è tutt’altro che dispregiativo. Non lascia una palla, giocando costantemente con una tale solidità da essere in grado, più di una volta, di rendere nervoso persino me a seimila chilometri di distanza, figuriamoci l’avversario.
Sfrutta al meglio, come da sua caratteristica, il gigantesco varco presentatogli da un tabellone misericordioso, vincendo, fino alla semifinale, tutti i match in tre set.
Bravo, certo, ma mai capace di generare in me il benché minimo sussulto.

Juan Martin Del Potro 9: Che gran torneo per la torre di Tandil. Già agli ottavi, opposto a Thiem, sarebbe dovuto uscire. 6-1 6-2 e l’espressione sul volto che faceva presagire un imminente ritiro.
Complice il masochistico istinto dell’austriaco, rimonta e vince, presentandosi alla sfida con Federer dopo una maratona di tre ore e mezza. Uno schiocco di dritto dal rumore familiare di un vasetto aperto per la prima volta, sordo e preciso, incontenibile: questa la descrizione del suo dritto. È visibile, concretamente, la gioia e la soddisfazione che prova nel giocare il proprio colpo, il migliore mai visto nella storia del tennis.
Contro Nadal, in semifinale, compete alla grande per un set, sfruttando la propria altezza per salire, soprattutto di rovescio, sulle parabole del maiorchino ed abbandonare il back che spesso, negli ultimi appuntamenti, è stato costretto a giocare. Cede poi i restanti tre parziali, complice uno spagnolo in stato di grazia ed un suo evidente calo fisico e psicologico.
Splendida rivalsa, in ogni caso. Come dissi tempo fa, Delpo, a New York, sa come essere protagonista.

Kevin Anderson 9: Cosa possiamo chiedergli di più? Serve in modo straordinario durante tutto il torneo (inferiore solo agli irraggiungibili Karlovic, Isner e via dicendo con questo fondamentale) e dimostra, oltre a soliti colpi a rimbalzo dotati di rara pesantezza, anche un’inconsueta solidità.
Dicono che Anderson, così fisicamente strutturato, sia incapace di muoversi al meglio.
Mai niente fu più sbagliato. Il sudafricano si muove bene, è soltanto lento, esattamente il contrario di Dolgopolov, per rendere un esempio, che si muove male ma lo fa in maniera rapidissima. Insomma, non gridiamo al miracolo. Sfrutta, come tanti altri, una landa della desolazione spero irripetibile, districandosi tra successioni di match dal valore tecnico piuttosto limitato (per il livello del torneo, ovvio) che, in uno Slam, non si erano mai visti. Come Delpo viene da una storia di infortuni superati con caparbietà. È il giusto premio alla carriera per un giocatore spesso sottovalutato.

Rafa Nadal 16: Non ci credevo, veramente. D’altronde, lo ricordiamo, l’ultimo trofeo vinto da Rafa sul cemento era datato 4 Gennaio 2014, un’eternità fa. Ed invece eccolo, di nuovo, sfatando per l’ennesima volta il falso mito che lo vuole come giocatore capace unicamente di competere su terra rossa.
Chi parla di tabellone, chi di tic, chi di doping. I fatti, però, sono chiari. Non sta a me smentire con le parole quelle che sono solo e soltanto inutili chiacchiere da bar. Sedicesimo slam di un uomo che ha cambiato il tennis. Chi l’avrebbe detto lo scorso anno, dopo che, agli ottavi, perse dal candido Pouille? Nessuno, forse nemmeno lui.
Invece ancora e ancora e ancora.
Come solo lui sa fare.
16.

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