Dominic Thiem, 3: È vero che Lajovic, avversario dal quale l’austriaco ha perso al terzo turno, ha poi raggiunto la finale grazie ad un tennis estremamente solido, ma il campione di Indian Wells iniziava questo torneo forte di un pronostico che lo vedeva tra i tre principali favoriti. Invece, prestazione deludente, complici molteplici errori ed un’incostanza di rendimento che, sovente, gli è estranea. La prima apparizione sulla terra per colui che, lo scorso anno, si rivelò il principale avversario di Nadal, arrivando in finale allo Slam parigino, è sconfortante e merita una bocciatura.
Da qui in avanti, per lui, il compito di rifarsi.
Alexander Zverev, 4: Dopo una convincente vittoria su Aliassime, interprete acerbo sul rosso e verso il quale ancora esercita una soggezione mentale troppo forte, arriva la sconfitta per mano di Fognini, non di certo, al terzo turno, nella versione intoccabile vista nei match con Coric e Nadal. Parlando del tedesco, eterno giovane già stagionato, si risollevano sempre le medesime questioni. Ha il gioco e la personalità per potersi stabilmente imporre in appuntamenti di alto livello, eppure finisce spesso, tranne meritevoli eccezioni come il Master, per tradire le attese.
Che siano fisici, tecnici o mentali, i problemi per Zverev ci sono, soprattutto in questo 2019. Si racconta che Lendl abbia un progetto a lungo termine.
Se così non fosse, il futuro non promette nulla di buono.
Lorenzo Sonego, 9: Non era folle aspettarsi dal torinese una vittoria con Lajovic, ma a rigor di logica, considerata la versione di se stesso che il serbo ha gettato sui campi di Montecarlo, la sconfitta patita ai quarti non può che considerarsi un necessario tassello di crescita. Nessuno, nemmeno il suo staff, si sarebbe aspettato un risultato di simile portata. Essere nei migliori 8 di un 1000 equivale, per lui, alla vittoria del torneo. Dopo la solidità di Seppi, ormai sempre più sorridente rampollo dei monti, l’impresa contro Khachanov e la conferma con Norrie. Se uno sprovveduto avesse pronosticato il risultato il primo giorno del torneo, gli avrebbe riso in faccia, e molti tifosi, dopo un perplesso “Sonego chi? No, mai sentito”, lo avrebbero fatto assieme a lui.
Novak Djokovic, 4: Dopo Miami ed Indian Wells, una nuova sconfitta inaspettata per il serbo, regredito nuovamente ad essere parente stretto del salice piangente che lo scorso anno calcò questi campi perdendo al terzo turno da Dominic Thiem. È vero, pensandoci, che Medvedev possieda le caratteristiche di gioco necessarie per innestare un tarlo nella psiche del numero 1 del mondo, e a conferma di ciò mi viene in aiuto la partita disputata tra i due all’Open d’Australia dove, con un po’ di resistenza fisica in più, il russo avrebbe forse compiuto l’exploit impedendo a Nole il quindicesimo successo Slam. Ciò detto, la prestazione messa in mostra da Djokovic nel corso del quarto turno monegasco non ha avuto un minimo di senso logico. Partito malissimo, sembrava aver imboccato, tra secondo set ed inizio terzo, la via giusta verso un ennesimo successo in rimonta. Scherzava l’avversario, irridendolo con palle corte imprendibili e rovesci calibrati al millimetro che stuzzicavano la riga nei più disparati angoli di campo. Poi, d’improvviso, spegnimento dei motori.
Rimango basito nel vedere la meccanica macchina da tennis prodigarsi in errori quanto meno inspiegabili. Lascia il campo con il sorriso e mi chiedo quale sia la sua attuale condizione.
Da qui a Parigi, non manca molto tempo.
Daniil Medvedev, 8: Il russo ha una sensibilità rara dal lato del rovescio, con il quale impatta, a proprio piacimento, celeri vincenti o delicate palle corte. Sembra poter fare qualunque cosa, salvo poi ricordarsi che, nel tennis, non esista un solo fondamentale. Rispetto a quanto si dica in giro, specialmente dopo questa settimana, su Medvedev ho un’idea chiara. Istrionico ai limiti, spesso sconfinati, dell’arroganza. Un buon giocatore, capace dell’exploit, che molto mi ricorda, per tipologia di giocatore, Bernard Tomic. Con Djokovic vince una partita meritata, salvo cedere 7-5 6-1, dopo essere stato 5-1 nel primo set, nel match successivo contro Lajovic. Chi crede di aver trovato un nuovo Mecir, si illude. Siete avvisati.
Rafael Nadal, 5.5: Sottotono per tutta la settimana, non essendo giudicabile, per eccessiva disparità di valori in campo, l’esordio vinto con agio contro Bautista Agut. Pare il vento lo penalizzi molto, ma il vento è sempre presente per tutti.
Nei quarti di finale supera Pella 7-6 6-3 in un match da insufficienza grave. La semifinale con Fognini è semplice e destabilizzante impotenza di fronte ad un giocatore, quel giorno, a lui troppo superiore. Non è lo spagnolo che siamo abituati a vedere sul terreno vermiglio, l’imbattibile bestia feroce che con foga brutale sfodera il collerico turbine. Se sia colpa di un infortunio o meno, non ci è dato saperlo. Partite come queste, però, possono aprire una minuscola crepa nell’inscalfibile psiche di titanio di un uomo talmente terrorizzato dalla sconfitta da aver finito per vincere tutto ciò fosse possibile.
Dusan Lajovic, 9: Rovescio ad una mano retrò e prima finale in un 1000 della carriera, persa per manifesta inferiorità. Il serbo mette in mostra una solidità disarmante con la quale spegne le velleità di Medvedev, Thiem e Goffin.
Risultato incredibile e forse irripetibile. Una bella storia, possibile nell’anno in cui, pare, ognuno possa avere la propria chance di successo.
Fabio Fognini, 10: Un inizio anno disastroso cancellato dalla vittoria che segna la storia del tennis italiano. Parlando di Fognini è facile cadere nella retorica banale del talento sprecato. Gli episodi a cui aggrapparsi in sostegno di questa tesi sono molteplici e negli anni hanno scandito una carriera da splendido sprecone di auree occasioni. Oggi, però, il discorso non regge.
Zverev, Coric e Nadal in serie, sfoderando, con quest’ultimo, una qualità di tennis che è nettare afrodisiaco per gli amanti della tecnica pura e dell’impatto anticipato. Fabio manovra rimanendo spesso fermo con i piedi. Sale sulla palla, non lascia che l’infido uncino di Nadal gli superi la spalla. Carica un rovescio bimane su cui esplode un movimento di braccio veloce e preciso. L’impatto produce uno schiocco che rimane un istante immobile dell’aria. È vincente ed è bellissimo.
In sette giorni espone un repertorio completo, fatto di dritti, rovesci, gaudiose smorzate, volee e veroniche splendenti.
Tutto ciò c’è sempre stato, ma la vittoria lo rende accessibile al grande pubblico che ora lo ama dopo averlo lapidato virtualmente.
Instabile ed instancabilmente lontano da ciò che gli eletti vorrebbero fosse.
Oggi, però, è solo il momento delle celebrazioni.
Lasciamo che scorrano, meritatamente, fiumi di parole incentrati su questa favola bella, che ieri ci illuse e che oggi, forse, ancora ci illude.
Grazie Fabio, da parte di tutti noi.