Crisi e tennis: Johnson riparte dopo la morte di papà Steve Sr.

Una mattina del maggio 2017, l'ex #21 al mondo Steve Johnson riceve la triste notizia della morte del padre: dopo 12 mesi di rabbia e pianti, ha ripreso a vincere nel nome di Steve Sr.

UN RAPPORTO SPECIALE- Era una mattina di maggio, quando, l’anno scorso all’aeroporto di Los Angeles, Steve Johnson, ex #21 al mondo, riceve la triste notizia dalla madre: papà Steve Senior è morto. Una notizia incredibile per l’americano, che aveva un rapporto particolare e speciale con il padre, non solo dal punto di vista famigliare, ma anche sportivo, dato che Steve, morto per un infarto nel sonno, aveva sempre allenato il classe ’89, sin dai primi passi con la racchetta.
Un supporto continuo, anche al college nel sud della California oppure nei momenti di difficoltà, come quando voleva lasciare il tennis, una scelta poi non assecondata, considerando che nel 2016, l’anno del possibile ritiro, è stato il migliore: 4° turno a Wimbledon, quarti in singolare alle Olimpiadi e medaglia di bronzo in quel di Rio de Janeiro, oltre al successo su erba di Nottingham. Basti che pensare che da due anni a questa parte, vince almeno un titolo all’anno, come accaduto a Houston su terra rossa nel 2017 e quest’anno contro Tennys Sandgren, altro tennista statunitense speciale, con una storia straordinaria, come mostrano le parole di Big Steve: “Ho alzato il mio pugno al cielo e mi sono avvicinato al mio avversario per abbracciarlo. Dell’altra parte della rete c’era Tennys Sandgren, alla sua prima finale ATP, e quando gli ho appoggiato la testa sul petto ha detto qualcosa che non dimenticherò mai: ‘I nostri padri ci stanno guardando dagli spalti’. Io stavo facendo si tutto per trattenermi ma quando Tennys, che ha perso il padre qualche anno fa, ha detto quelle parole io mi sono lasciato andare. Un anno fa, 25 giorni dopo il mio primo successo a Houston, mio padre, Steve Johnson Sr. ci ha lascito nel sonno. Io avevo appena realizzato un sogno che condividevamo insieme, vincere un titolo negli Stati Uniti, e quello fu l’ultimo match che mi vide giocare. Questi mesi sono stati molto difficili ma i miei genitori mi hanno cresciuto per competere e per fare le cose nel modo giusto. Mio padre non avrebbe voluto che abbandonassi tutto ed è per questo che mi sono rimesso in campo, anche se è stata una sofferenza.”

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RABBIA, PIANTI E CRISI- Come raccontato nei giorni scorsi al Telegraph, dato che sta disputando il torneo di preparazione di Eastbourne in vista dei Championships, i giorni e i mesi dopo la scomparsa del padre sono stati terribili. Ciò che l’ha salvato sicuramente è stato il matrimonio con la storica fidanzata Kendall Bateman, dopo mesi bui e tristi.
La reazione immediata è stata rabbiosa, quasi isterica. Soltanto dodici giorni dopo la terribile notizia ha giocato a Ginevra, raggiungendo i quarti. Subito dopo, ha colto il terzo turno al Roland Garros. Tuttavia, il peso delle emozioni è diventato travolgente: dopo la vittoria su Borna Coric si è inginocchiato e ha preso a piangere come una fontana. Incontenibile, incontrollabile: “Fisicamente sto bene, ma mentalmente sono un disastro” disse all’epoca. Oggi, dice di non essere ancora pronto a rivedere quelle immagini in TV. “Una delle cose più difficili fu guardare in alto e vedere mia madre, mia sorella Alison e la mia futura moglie sedute lì. Ma è stato anche un momento incredibile”. Un mese dopo è arrivato al terzo turno anche a Wimbledon, scoppiando in lacrime dopo la sconfitta con Marin Cilic, poi finalista del torneo. Dopo certe esperienze, il suo corpo ha chiesto pietà e lo ha costretto a un ricovero in ospedale. Sono tornato a casa esausto. Il mio corpo era stanco, emotivamente ero provato. Si è spento tutto. Per un paio di giorni ho avuto una febbre orribile. Ho dovuto attendere fino allo Us Open per ritrovare un po’ di me stesso”. Ci sono stati momenti in cui non riusciva a sopportare l’idea di trovarsi su un campo da tennis. Per esempio, durante il Canadian Open, nel bel mezzo di un match contro Gael Monfils, dal nulla ha iniziato a fare pensieri negativi su quello che era successo. Fisicamente mi trovavo a Montreal, ma emozionalmente e mentalmente ero molto lontano. È stata dura rimanere in campo, avevo bisogno di tornare a casa”. Ma non è finita qui. Gli strascichi emotivi si sono protratti anche nel 2018. Durante il torneo ATP di New York è stato colto da un attacco di panico. Ha portato a termine il match contro Adrian Menendez Maceiras, perso in tre set “ma mi sembrava che tutto si muovesse intorno a me, ero incredibilmente a corto di fiato”. È stato il punto limite, da cui ha capito che avrebbe dovuto farsi aiutare. E allora ha iniziato a frequentare uno psicologo. “Per me è necessario parlare con qualcuno, altrimenti queste cose rischiano di sfuggire al controllo.”

OBIETTIVO: RIPARTIRE- Dopo la morte del padre, Johnson non è stato affatto bene: “Quando è morto mio padre, ho sentito diverse sensazioni: confusione, tristezza, rabbia. Nella mente di una persona trovano spazio tante cose. Ogni settimana mi sembrava di stare in un ottovolante emotivo. È stata l’estate più dura della mia vita. Per la maggior parte degli atleti, l’attività agonistica è una fuga dalla vita domestica. Non per me: mio padre è stato fondamentale nella mia carriera, quindi ogni volta che mi trovo in campo ho la sensazione che lui dovrebbe esserci.” 
Una persona fondamentale insomma, soprattutto come spalla su cui appoggiarsi nei momenti più difficile: quella persona ora sembra diventata Mardy Fish, altro americano ritiratosi per problemi d’ansia, insomma molto simili a quelli del nativo di Orange. Parlare con le persone è molto importante, soprattutto per il classe ’89, per sfogarsi e confrontarsi, come fa spesso ora che l’argomento della morte del padre non è più un tabù: “Ma non parlo di queste cose ai colleghi, nello spogliatoio – dice Johnson – ma solo con il mio team e i miei amici. Ma se qualche tennista decidesse di parlarmene, sarei ben lieto di affrontare l’argomento. Se qualcuno mi confidasse di essere in difficoltà, lo ascolterei con piacere. Mi piacerebbe condividere la mia storia. Molti pensano che siamo robot, ma in realtà siamo esseri umani che vivono emozioni. E va bene mostrare la propria debolezza fino a quando non si trova un sistema per migliorare. Invece, nel nostro mondo, le persone sono educate a non mostrare debolezza. Ci vorrebbe qualcuno che abbia il coraggio di dire pubblicamente certe cose: basterebbe questo affinché sparisca l’imbarazzo nel parlarne.” Steve ha cambiato modo di pensare e anche a Wimbledon si godrà il momento: “Da adesso in poi, prenderò la vita così com’è e farò del mio meglio, qualsiasi cosa accada. Non vedo l’ora di giocare e spero di onorare mio padre nel migliore dei modi.” Prima Mischa Zverev e poi l’erba del Re: let’s go Steve!

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