Game, Set, Match: la Svezia del grande tennis

A cavallo tra gli anni ’70 e ’90 una nazione si impose con forza sul palcoscenico tennistico mondiale, una nazione considerata fredda ed inospitale, abitata da soli 8 milioni di persone disperse in 450.295  kilometri quadrati. Ancora oggi in molti si interrogano sul modo in cui la terra in cui fiorì la cultura vichinga nel XI secolo, patria del fascino misterioso della Divina Greta Garbo e del genio di Ingmar Bergman, sia stata in grado di vincere grazie ad i suoi alfieri 24 titoli dello Slam e 7 Coppe Davis. Game, Set, Match di Mats Holm e Ulf Roosvald, pubblicato in Italia da Add Editore con traduzione a cura di Alessandra Scali, racconta in modo entusiasmante, con il loro diretto contributo, le storie e le vittorie dell’Orso Björn Borg, di Mats “Calcolatore” Wilander e di Sua Maestà della Volèe Stefan Edberg.

Insomma si narra la storia della Svezia del grande tennis.

Una storia che affonda le sue radici agli albori di racchetta e palline. Bisogna ritornare indietro fino a quando un principe ereditario alla fine del XIX secolo decise che quel gioco nobile di cui si innamorò follemente nei suoi quattro mesi trascorsi in Inghilterra doveva diffondersi anche in Svezia. Quel principe divenne il Re Gustavo V e fu lui a far costruire i primi campi e a gettare le basi per quel futuro che divenne poi inaspettatamente roseo.

Borg-Roland-Garros-1981

Non è banale constatare che la crescita del tennis in Svezia sia strettamente collegata all’ascesa politica e sociale del paese scandinavo negli anni ‘70, alla figura del primo ministro Olof Palme ed al Folkhem, il modello di welfare svedese. Il vorticoso intreccio tra tennis e politica portò a manifestazioni e boicottaggi ( vedi match di Davis a Båstad contro la Rhodesia dell’apartheid) ma anche alla nascita di strutture adeguate e mentalità vincente. E qui che Borg crebbe e mostrò al mondo come si potevano vincere sei Roland Garros e cinque Wimbledon consecutivi senza attaccare ad ogni punto la rete, correndo e lottando, rispondendo alle volée con quel colpo a due mani che aveva importato direttamente dall’hockey.

Pochi si sarebbero aspettati che il talento rivoluzionario e vincente, ma isolato, del Lupo Solitario Borg fosse preso ad esempio da una vera e propria scuola tennistica in grado di forgiare nelle sue fucine giocatori fisicamente impressionati e mentalmente solidi. Tant’è che Ion Țiriac ebbe a dire: “Ma in Svezia avete una fabbrica di robot del tennis? E poi ci avvitate sopra le testoline?”. Dalle funzionali officine svedesi furono costruiti i successori di Borg, opposti nello stile, ma entrambi maledettamente vincenti: Wilander ed Edberg. Il primo mentalmente granitico, tatticamente ineccepibile e continuatore del gioco in pressione da fondo campo, il secondo invece dotato di un gioco di volo mozzafiato, atipico per uno svedese ma in grado di “tagliare in due una tela con la sua sciabolata di rovescio”. 13 titoli dello Slam in due sono la dimostrazione del loro talento.

La lettura ricca ed appassionante è talmente coinvolgente che ad un certo punto mi è sembrato quasi essere catapultato prima negli anni ‘80, sugli spalti del Roland Garros con un paio di occhiali squadrati poggiati sul naso ed un foulard al collo, e poi sulle chiassose tribune americane nel epoca di passaggio ai ruggenti ’90, con un walkman nelle orecchie, nauseato dall’odore di hot-dog disperso nell’aria. E sembra quasi che all’improvviso possa vedere con i miei occhi  le cazzate di Nastase, la furia polemica di McEnroe e l’orecchino di Pecci. Poi ecco Borg, la fascia tra i capelli e il completino impeccabile. L’ovazione estasiata del pubblico parigino coinvolge anche me. Subito dopo ecco trasferirmi oltre oceano, i completini sgargianti delle nuove leve Sampras ed Agassi ed il broncio di Ivan Lendl a fine carriera. E poi si materializza, irrimediabilmente affascinandomi, prima il cervello e la tigna di Wilander nella finale del 1988 e poi la classe innata e la grinta inaspettata di Edberg in quella del 1992.

La narrazione non è mai banale ed è  condita dai succosi aneddoti di chi ha visto nascere e crescere l’intero movimento come ad esempio Percy Rosberg, colui che incoraggiò  Borg a giocare quell’insolito rovescio bimane e fece staccare in modo rivoluzionario per la ormai imposta “scuola” la mano sinistra al già quindicenne Edberg.

Game, Set, Match è molto più di un libro. Tra le testimonianze dei protagonisti, i brevi e arguti interventi degli esperti e le cronache avvincenti, ogni parola è in grado di far volare la mente. Un viaggio nel passato in grado di far vivere sulla vostra pelle brividi ed emozioni. Il fenomeno svedese che ha segnato un’epoca narrato in modo impeccabile, incorniciato dal Tennis che fu ormai sempre più lontano.

 

Mats Holm, Ulf Roosvald- Game, Set, Match. Borg, Edberg, Wilander e la Svezia del grande tennis, Add Editore

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