Mr Nastase – The autobiography
“Sia sul piano scientifico che su quello morale, venni dunque gradualmente avvicinandomi a quella verità, la cui parziale scoperta m’ha poi condotto a un così tremendo naufragio: l’uomo non è veracemente uno, ma veracemente due.” ( Lo strano caso di Dottor Jeckill e Mr Hyde, 1886)
Come ricordiamo ogni volta che ci cimentiamo nella recensione di un libro che racconta la vita e la carriera di un atleta, non dobbiamo mai dimenticare limportanza di quello che le sue parole vorrebbero comunicare al lettore. I messaggi che ci vengono trasmessi vengono spesso recepiti sotto un aspetto soggettivo e,una volta assimilati, non solo diventano parte del nostro bagaglio culturale, ma possono anche cambiare il nostro modo di pensare all’atleta.
Iniziare a leggere unautobiografia potrebbe essere paragonato alla sensazione che si prova quando si parte per un nuovo viaggio o si intraprende una nuova esperienza.
“Conosciamo solo la realtà di cui abbiamo esperienza”In qualunque caso, che sia alla fine di un viaggio, di un’esperienza o all’ultima pagina di un libro, si esce irrimediabilmente cambiati, in positivo o in negativo.
Ilie Nastase rappresenta il tennis ribelle e cattivo, ma anche l’individuo creativo e determinato nel raggiungere i traguardi prestabiliti.
Fu da subito ammirato dai tifosi per il carattere, ma mai invitato a far parte dellAll England Club a causa delle innumerevoli multe e sospensioni di cui è stato protagonista.
A metà anni settanta, durante il periodo più prolifico della carriera, affermò che quando si arrabbiava era felice, giocava meglio e poteva battere chiunque.
Nel 1985 abbandonò il circuito, ma ancora oggi quando gioca a tennis si dice che mantenga un atteggiamento guascone sul campo e che sia sempre pronto a contestare qualsiasi palla che cade nei pressi delle righe.
La sua, è una storia senza eguali, è la storia dell enfant terrible del tennis degli anni 70 e 80, è la storia del tennista che grazie al successo, al sex appeal, allo stile di vita e alle controversie che lhanno da sempre circondato, si è guadagnato un nome anche al di fuori del mondo tennistico.
La storia di Ilie non inizia a Bucarest (Romania), bensì al di là delle montagne della Transilvania, rinchiuso in un luogo tra Ucraina e Romania (oggi Repubblica indipendente di Moldavia) che allora era ufficialmente parte dellUnione Sovietica.
Su quelle montagne, nel 1907, era nata sua madre, Elena, di cui nemmeno Nastase conosce la storia.
Sa solo che ,insieme alla sorella minore, ben presto rimase orfana per mano della prima guerra mondiale. E non ha idea dellinfanzia trascorsa dalla madre perché lei non ne ha mai parlato o forse non ne ha mai voluto parlare. Invece suo padre, Gheorghe, nacque nel 1906 in una cittadina a 240km da Bucarest e conobbe Elena solo nel 1925, quando arrivò in Moldavia per lavorare come poliziotto per la Banca Nazionale Romena.
Un anno più tardi si sposarono e diedero alla luce il primo figlio, Volodia, seguito dalla nascita di Ana e Constantin. A quei tempi la medicina non era avanzata e, quando alletà di otto anni Volodia si ammalò, non ci fu niente da fare per salvarlo.
La morte di un figlio segnò drasticamente la vita della famiglia tanto che passarono ben 9 anni prima che i genitori di Ilie mettessero al mondo altre creature, fino a quando, nel 1942 nacque Cornelia e nel 1944 Georgeta.
Poco dopo la nascita di questultima i russi si apprestavano a raggiungere la Moldavia e Gheorghe capì che la famiglia sarebbe stata più al sicuro nella sua terra dorigine, a Ramnicu-Sarat. Le sue previsioni si rivelarono esatte, infatti, solo due settimane dopo, la Moldavia diventò territorio dellUnione Sovietica.
Nel 1945, ad un anno dalla nascita del futuro campione, lintera famiglia si trasferì a Bucarest.
Ilie ha riflettuto parecchio sulle vicende della sua famiglia e ha realizzato che il suo destino fu segnato ancor prima di venire al mondo:
Ora, buttando un occhio al passato, mi rendo conto che se mio padre non avesse preso la decisione di trasferirsi immediatamente, se solo avesse esitato per un paio di settimane, la mia famiglia avrebbe dovuto restare in Moldavia. Sarei nato russo e la storia del tennis sarebbe stata un po diversa. Non male, eh?
Il 19 luglio 1946, Elena diede alla luce un bambino “enorme”, di ben 5 kg: Ilie.
Suo padre, qualche anno più tardi, gli confessò che inizialmente la madre non avrebbe voluto avere unaltra bocca da sfamare, ma lui insistette e le promise che sarebbe stato il loro ultimo figlio.
Nastase ammette che forse sua madre fu più indulgente con lui a causa della prematura scomparsa del suo primogenito.
Non aggiunge altro perché altrimenti gli psicologi si affretterebbero a concludere che tutti i problemi di comportamento siano legati alla sua infanzia: direbbero che fin da piccolo non ricevette abbastanza disciplina.
Da questo punto il libro coinvolgerà il lettore pagina dopo pagina, grazie anche allimmensa capacità dellautore di catturare lattenzione su ogni singolo aspetto di vita e carriera.
Nastase racconta anche aneddoti su alcuni colleghi, da John McEnroe, a Jimmy Connors e Arthur Ashe, Henri Leconte, Yannick Noah, Chris Evert e Martina Navratilova, ma si sofferma anche sulle difficoltà affrontate dai colleghi e amici Bjorn Borg e Vitas Gerulaitis e di come lui stesso tentò, insieme ad altri, di aiutarli prima che questi sprofondassero negli abissi delle loro vite.
Oltre alla grandezza della sua figura e della forte personalità che da sempre lo ha contraddistinto, ciò che più colpisce è la sincerità con cui racconta eventi ed esperienze della sua vita. Alle volte traspare un senso di amarezza, altre può sembrare malinconico verso esperienze passate ed altre ancora sembra che aprendosi al lettore abbia voluto finalmente liberarsi di alcune realtà di se stesso che ha imparato ad accettare solo con il passare del tempo.
Più che il racconto di una carriera, è il racconto di una vita segnata dal destino fin dal primo giorno; più che una storia di sport, è una storia di umanità.
Come chiusura ricordiamo quello che un giorno, quando gli chiesero di parlare della carriera tennistica, da eterno innamorato del Tennis rispose :
Il tennis per me è stato una scuola, meglio di tante università. Ho imparato a lottare, nessuno mi ha mai regalato niente, soprattutto agli inizi. E ho imparato a essere perbene, anche se mi chiamavano Nasty: ero convinto che mi rubassero i punti, era un mio complesso di inferiorità, e allora discutevo sempre con gli arbitri. Perché il tennis è un ambiente perbene, mentre il calcio non è così, il calcio ti guasta, guarda che cosa è successo a Maradona.
Fonte: Mr Nastase, The autobiography
Autore: Ilie Nastase con Debbie Beckerman
Editore: Pubblicato per la prima volta nel 2004 da Collins Widow/ stampa di Harper CollinsPublishers, London