Adriano Panatta, nato il 9 luglio 1950, è un ex tennista italiano, la cui carriera è stata costellata da splendide vittorie intervallate da periodi di appannamento.
Oltre che per i successi a livello individuale, è tuttora ricordato per essere stato il giocatore di punta della squadra nazionale che vinse la Coppa Davis nel 1976 (l’unica conquistata dall’Italia).
È doveroso ricordare che, Adriano, durante lincontro decisivo della finale di Coppa Davis contro il Cile nel 1976 indossò, insieme a Paolo Bertolucci, una maglietta rossa in segno di protesta e dissenso verso la dittatura militare retta da Augusto Pinochet. Su questo gesto simbolico, e più in generale sul personaggio Panatta, il regista Mimmo Calopresti ha realizzato il documentario La maglietta rossa, nel 2009.
Inoltre i Modena City Ramblers hanno dedicato a questa impresa la canzone “Due magliette rosse” dell’album Niente di nuovo sul fronte occidentale.
Il libro autobiografico racconta la storia di un ragazzo dal braccio doro che grazie al carattere determinato e deciso è riuscito a lasciare un segno nella storia mondiale del tennis. Nel libro viene raccontata la sua infanzia, la famiglia, gli amici, i primi successi e le prime delusioni, le sue sofferenze in campo e fuori, i viaggi, le avventure vissute, l’incontro della donna che ha poi sposato e lo stress vissuto in prima persona.
Panatta si apre ai lettori e decide di mostrare la parte più intima e segreta della sua persona, facendo emergere molto di più la parte umana rispetto al suo essere idolo. Sfogliando le pagine stupisce ritrovarsi a leggere la vita di un campione con le stesse impressioni che si avrebbero a sentire raccontata una vita qualunque.
Luca Liguori, nella prefazione, riassume lintera storia della vita di Adriano Panatta in sole due righe:
Panatta rivive il suo tennis in chiave sportiva; lo sport racconta di come è nato un campione di nome Adriano.
Lastrologa Antonia Bonomi, allepoca della pubblicazione del libro nel lontano maggio del 77, concluse che, astrologicamente parlando, Adriano Panatta sembrava nato campione e affermò che il numero uno azzurro avesse enormi possibilità di carriera e di lunga vita sportiva, ma ciò di cui realmente necessitava era la disciplina. Inoltre, la sua persona sentiva forte bisogno di affetto e di tenerezza e avvertiva la necessità di essere compreso, amato e persino coccolato.
Decidiamo di sottoporvi alcuni spunti di queste pagine e alcune fotografie che troverete riproposte nel libro.
Adriano nacque in una calda giornata di luglio del 1950, e la madre, Liliana Panatta, come tutte le mamme, ricorda quel giorno come fosse oggi. La mammetta, così come la chiama Adriano, ricorda che quella domenica lafa a Roma era insopportabile e da sei lunghe ore, tutta la famiglia aspettava la nascita del pupo. A mezzogiorno esatte, il piccolo fece il primo strillo e pesava cinque chili e mezzo. Lo chiamarono Adriano, in onore di quel piccolo che mamma Liliana non era riuscita a dare alla luce mesi prima.
Il padre era custode del vecchio Tennis Parioli e il piccolo respirò laria dei campi da tennis fin dai primissimi anni di vita. Entrambi i genitori erano severi ma giusti e tra tutto ciò che spesso gli veniva proibito, una cosa in particolare lo faceva soffrire: non volevano che indossasse pantaloni lunghi, ma nonostante ne facesse un dramma, finiva sempre per obbedire ai loro ordini.
Molti di lui scrissero che avesse sempre nutrito un desiderio di riscatto e di rivincita personale nei confronti di un certo mondo che da ragazzo osservava sapendo di esserne escluso. Per questo motivo, lex tennista romano ci tenne a precisare che nulla di ciò che i giornalisti scrivevano corrispondeva a realtà. Al contrario, ringraziava suo padre per avergli insegnato da sempre ad avere la giusta dimensione dei valori della vita.
Non ho mai invidiato nessuno tra coloro che stavano meglio di me, tra coloro che avevano la possibilità di giocare sui campi del Circolo Parioli mentre io me ne stavo, da solo, con una racchetta scassata in mano, a tirare la pallina contro un muro. Per me, giocare, ha sempre significato, ieri come oggi, affrontare una competizione. Tutto qui.”
Sembrerà strano, ma nonostante Adriano passasse così tanto tempo sui campi da tennis, in realtà adorava il calcio ed era certo che sarebbe stato lo sport della sua vita. Cercava persino di emulare le gesta dei suoi idoli, ai tempi il capitano giallorosso Losi, largentino Pedro Manfredini ,Angelillo a cui invidiava anche lo stile ed Egidio Guarnacci, tutti atleti che indossavano scarpe di cuoio e che tiravano calci ad un pallone.
Ai tempi di Adriano, il tennis era considerato un sport délite, riservato a pochi fortunati. Inoltre, non era da tutti possedere una racchetta, una tuta, una scatola di palline ed avere la possibilità di giocare su un campo da tennis. Fu la sua prima insegnante, oltre che suo padre, a notare una spiccata predisposizione a questo sport. Wally San Donnino gli insegnò larte del tennis e gli fece credere che, se si fosse impegnato, se avesse seguito scrupolosamente i suoi consigli, avrebbe potuto, un giorno, realizzare quel sogno che tanti ragazzi inseguono quando si dedicano seriamente ad una disciplina sportiva: diventare un campione.
1963- Compleanno a Pievelago, tra i compagni di corso del Centro Coni diretto da Simon Giordano.
Fu così che a nove, dieci anni, Adriano cominciò la sua carriera tennistica, incontrando parecchi problemi a causa del fisico poco robusto, era angosciato e sfogava le sue pressioni polemizzando contro larbitro, verso il pubblico e anche verso lavversario.
Lui stesso non ricorda un incontro, tra quelli disputati da ragazzino, in cui, per un motivo o per laltro, non abbia litigato con qualcuno.
La prima vittoria al torneo Cerbiatti del Coni, al Foro Italico non si dimentica. E lo stesso vale per la prima grande sconfitta per mano di un certo Antonio Bon, che si è poi dedicato al rugby, in semifinale nella Coppa Lambertenghi, alletà di tredici anni. Alla fine dellincontro, il padre gli diede uno schiaffo, non perché avesse perso, ma perché uscendo dal campo Adriano pianse. Suo padre gli ricordò che anche nella sconfitta, un vero campione deve saper perdere con dignità.
A quindici anni Adriano approdò in quello che definisce il tempio della preparazione atletica, a Formia. Fu il periodo più importante e più interessante della sua esistenza sportiva e la gente non dovrà mai dimenticare che per entrare nellOlimpo tennistico è assolutamente necessario passare sotto le forche caudine di Formia, una vera e propria Università del tennis, in cui lui stesso trascorse sei anni della sua giovinezza.
Adriano in Nazionale Juniores. Il primo a sinistra è Matteoli, il tennista scomparso prematuramente. Nel gruppo si distinguono anche Bertolucci, Lombaroli, Franchitti e Bon.
Alcune pagine del libro sono dedicate alla figura di Mario Berlardinelli, il Gran Patron dei tennisti italiani, considerato dal numero uno azzurro come padre putativo. Un grande maestro di vita, oltre che di sport.
Mario Belardinelli.
Scomparso il 19 gennaio 1998 a 79 anni, è stato educatore di tennis italiano e per lunghi anni direttore del centro federale di Formia. È considerato tra gli artefici dell’unico successo italiano in Coppa Davis , per il ruolo rivestito nella scoperta e nella maturazione dei giocatori che si resero protagonisti di quell’impresa nel 1976.
Berlardinelli ha sempre asserito che per diventare campioni, non bisogna mai arrendersi e mai essere contenti di se stessi. Occorre prima di tutto diventare maestri della propria coscienza.
Anche ai giorni nostri potremmo ricordarlo con una bellissima frase che amava ripetere ogni volta che riceveva un complimento per le sue doti di psicologo:
Capisco a fondo i ragazzi, perché mi sento ancora terribilmente uno di loro, malgrado la mia età
Nel suo libro Panatta racconta tutto quello che ha fatto parte della sua vita, di come si è creato una famiglia e di quanto sia importante per un tennista avere qualcuno su cui contare costantemente, che capisca i tuoi silenzi e che divida con te ansie, problemi, progetti e anche speranze.
Forte dei Marmi, relax con la futura moglia Rosaria alla “Bussola”
Firenze, Marzo 1975. Dopo il sì con Rosaria.
Gli appassionati troveranno interessanti i Dieci consigli di Adriano Panatta ai tennisti dilettanti che allepoca sognavano di emulare le sue gesta, così come oggi cercherebbero di emulare Roger Federer, Rafa Nadal o Novak Djokovic per esempio.
Come allora, per vincere non basta soltanto saper giocare : occorre essere superiore al proprio avversario anche dal punto di vista psicologico, nella grinta e nella voglia di vincere.
I suoi dieci consigli sono i seguenti:
1- Cerca sempre di concentrarti al massimo, anche quando giochi per puro divertimento.
2- Stai sempre con i piedi in movimento e con le gambe pronte allo scatto.
3- Nel servizio cerca di colpire la palla più in alto possibile; sempre al culmine della parabola ascendente e mai quando è in fase di discesa.
4- Cerca, sia nel dritto che nel rovescio, di colpire la palla davanti al corpo.
5- Nelle volée, diminuire lampiezza dei movimenti del braccio.
6- Nelle fasi difficili dellincontro, costringi lavversario a giocare quei colpi che gli sono meno congeniali.
7- Cerca di mantenere sempre la calma. Non significa che tu debba rimanere passivo: cè sempre bisogno di conservare un pizzico di cattiveria per vincere.
8- Allenati tutti i giorni, se puoi. Il tennis va giocato molto spesso.
9- Cerca di vincere.
10- (Vedi nota seguente)
N.B. Preferisco lasciare in bianco lultimo punto del decalogo, che potrai aggiornare tu stesso, sulla scorta delle tue esperienze future. Nel tennis cè sempre da imparare. Non ritenerti mai arrivato. È un errore che ho commesso anche io.
Infine, lultimo capitolo è dedicato a cosa pensassero di lui familiari,maestri, colleghi e giornalisti.
Tra i tanti giudizi, anche quello del Grande Gianni Clerici:
Vuoi un giudizio su Adriano? Mi pare che sia un bravo ragazzo, anche ben educato; che gioca bene a tennis, anche se non corre troppo bene. Lo trovo anche bello, fino alla vita, perché di lì in giù è più bella sua moglie.
Nel 1983 a 33 anni, Adriano Panatta disse addio al tennis ed uscendo dal campo, un ragazzino al cancello gli chiese: Adrià mi regali a racchetta? e lui rispose: prenditele tutte, io ho finito.
Fonte- Adriano Panatta, io e il tennis- la mia vita raccontata a Luca Liguori. Printed by Società Editrice Internazionale- Torino- Officine Grafiche SEI Maggio 1977.
Foto: Centro Documentazione la Stampa, G. S. Lancia, Rolly Marchi, Olympia, Publifoto, Angelo Tonelli.