“Un giorno, d’estate”. Racconto breve sul tennis

Spesso la vita ci mette davanti a decisioni difficili. Si è soliti dire che al cuor non si comanda. Ma quando poi, inesorabile, il tempo scorre, si ripensa a quanto stupidi si è stati. Racconto breve in cui, tra tennis ed amore, si esemplifica tale (crudele) concetto.

Si svegliò all’improvviso. Guardò l’orologio: le cinque. La televisione era accesa e il vociare dei telecronisti attirò la sua attenzione, nonostante il mucchio di cazzate che si sente pronunciare di solito. Sentì il suono inconfondibile che soltanto una palla da tennis poteva fare: sull’erba di Wimbledon si stavano sfidando Roger Federer e Tommy Robredo.

Giugno opprimeva l’aria con la sua afa, anche in Inghilterra. Non ci si credeva ma l’iberico era arrivato al quarto turno di un torneo sull’erba. Lui non si sarebbe perso per niente al mondo un incontro di Federer. D’altronde vedere qualcuno giocare una volée è già un’impresa nel tennis moderno. Ed uno come Roger andrebbe preservato per almeno altri tre secoli. Non vedeva l’ora che la varietà di Sua Maestà seppellisse sotto un mare di slice, smorzate e variazioni il gioco monocorde dello spagnolo.

Ma spense la tv. Andò lentamente verso il bagno e iniziò ancor con più lentezza a farsi la barba. Sapeva che il viaggio che lo aspettava era lungo, ma in quell’istante non gli importava. Passò a comprare i fiori che tanto le piacevano. Preferì stare tra le sue braccia piuttosto che vedere giocare Federer! Diamine, dovrebbe essere una vera e propria dichiarazione d’amore. Quando lo si vide stancamente parcheggiare l’auto, la partita era finita da ore. Sembrano risuonare ancor oggi, dopo anni, le sue amare parole: “Se ci ripenso adesso, merda, che idiota che sono stato!”

 

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