Scoprire il proprio talento non è un compito facile. Ogni persona ha il proprio, ma per farlo fruttare serve innanzitutto l’abilità di capire di cosa si tratta. Sono necessari i codici promozionali giusti per puntare sulle proprie capacità. Avere la consapevolezza di essere tagliati per praticare uno sport è la base per una carriera di successo, ma la strada rimane in salita e decisamente lunga. Poi si arriva al secondo stadio, il duro lavoro. Allenamenti su allenamenti, preparazioni estenuanti che ti portano a spingerti oltre il limite perché è nella fatica che i migliori atleti danno qualcosa in più, che li eleva a mostri sacri della propria disciplina. Se il destino ti ha dato l’opportunità di sfruttare il tuo talento, non puoi accantonarlo, è impossibile fare finta di niente. E allora perché lo stesso destino che ti ha chiamato predestinato, a distanza di anni ti massacra portandoti a fermarti allo stop e a non ripartire più? La risposta non la conosce Andy Murray, ma il dolore sì.
Riuscire a diventare uno dei migliori tennisti del proprio tempo è un sogno per chiunque prenda in mano una racchetta. Farlo, però, richiede sacrifici enormi e una predestinazione che non può essere coltivata. Andy Murray ha sempre avuto il talento dalla sua. Non elegante come l’immenso Federer e probabilmente non così possente fisicamente come il super spagnolo che risponde al nome di Nadal. Vincere Wimbledon, due volte l’oro Olimpico, raggiungere la prima posizione nel ranking ATP. Tutti traguardi sensazionali che Sir Andy può vantare, ma non bastano ad alleviare il dolore. Perché non è giusto che a 31 anni un atleta debba alzare bandiera bianca, posare la racchetta e ritirarsi. Sarà forse quell’attitudine all’allenamento estremo che solo i veri campioni hanno. Murray in ogni preparazione ha sempre corteggiato il limite, andando forse troppo oltre. L’anca non regge più e il pianto è l’unica certezza.
Destino beffardo che toglie al tennis uno dei più grandi interpreti della racchetta moderna. Rovescio da favola, palla corta e gioco che sembra passivo ma che in realtà è sempre efficace sono solo alcune delle sfaccettature più interessanti del gioco di Murray. Di epiloghi precoci lo sport ne è pieno. Come non pensare a van Basten, ex attaccante olandese con una classe sopraffina, strappato via al mondo del calcio a soli a soli trent’anni. Caviglia maledetta come l’anca del Sir che ha detto basta.