10 Giugno 1984, Parigi: la Waterloo tennistica di John McEnroe – parte seconda

Andy Marlin- USA TODAY Sports e Hannah MCkay/EPA/dpa

In merito alla sconfitta parigina di John McEnroe, se ne sono dette e scritte di tutti i colori: i mistici parlano di partita del Destino, secondo alcuni umoristi il Mac avrebbe perso perché, sopra di due set, già si stava immaginando la faccia di Lendl al momento della stretta di mano.
Esiste però una versione ufficiale made in John, in merito ai motivi della sua debacle:”Sono quindici anni che me lo chiedono. Non so più cosa dire. Penso si sia trattato di una distorsione spazio-temporale, qualcosa sul tipo di Star Trek o roba simile.”.
“L’impero della perfezione”, avanza una teoria decisamente intrigante e suggestiva: nel terzo set McEnroe sta per ottenere il break che avrebbe significato probabilmente la fine di Lendl . Distratto da un rumore a bordo campo, sbaglia un dritto facilissimo, scagliandolo in rete.
John minaccioso si avvicina al fonico colpevole di lesa maestà per sfogare la propria rabbia contro un dispositivo ronzante reo di averlo disturbato in quel frangente decisivo, urlandoci dentro la più colorita delle espressioni USA: “Fuck!”. Da quel momento la sua concentrazione e presenza in campo comincia a calare, consentendo a Lendl di aggiudicarsi il terzo set per 6-4 e poi l’incontro.
Non credo molto a questa ipotesi, come neppure alle altre, in particolare quella fantascientifica di Star Trek. Nel tennis vige una regola eternamente valida: in campo vince il più forte. A mio avviso, il Mac ha perso quella partita sul filo di lana perché nonostante avesse una classe tennistica superiore al suo avversario, la sua condizione atletica non era al pari di quella di Ivan.


E’ risaputo che McEnroe non si allenasse come gli altri colleghi. Giocava regolarmente singolo e doppio, arrivava in fondo a tutti i tornei e il suo tennis semplicemente fluiva perfetto dalla sua racchetta per dono degli dei del tennis. Come disse Billie Jean King del Mac: “Non ha pagato il prezzo!”.
Riporto qui due aneddoti, frutto dei miei ricordi, che tuttavia non sono riuscito a confermare in rete, ma sono talmente verosimili e divertenti che meritano di essere raccontati.
Montecarlo: un tennista italiano fissa una sessione di allenamento con il Mac durante il torneo. John arriva in ritardo, palleggia cinque minuti, ringrazia, saluta e se va.
Roma: John atterra a Fiumicino la mattina, va a pranzo a mezzogiorno in una qualche trattoria romana, entra in campo al pomeriggio per il suo match al Foro Italico, lasciando una manciata di game al malcapitato avversario di turno.
Purtroppo per il Mac, Lendl è stato uno dei primi tennisti insieme a Borg a curare maniacalmente la preparazione atletica e a comprendere fino in fondo che questa fosse la via maestra per migliorare le prestazioni tennistiche in campo.
In tal senso, Lendl è un giocatore moderno, mentre McEnroe da quel punto di vista paga un’impostazione antica. Sul rosso di Parigi dove il tennis è più dispendioso a livello fisico che altrove, fino a quando le energie, anche nervose, hanno sorretto l’impalcatura del difficilissimo Serve & Volley praticato dal Mac, il suo talento cristallino ha travolto Lendl, ma nel momento in cui tali energie sono lievemente diminuite, la grandissima condizione atletica del ceco, ha consentito al suo tennis più semplice, più fisico, più solido ma ad alto rendimento per tutto l’arco del match, di prendere il sopravvento su quello scintillante e talentuoso di McEnroe.
E anche per oggi, il mio spazio a disposizione è terminato. Vi devo lasciare, ma prima di salutare, voglio dirvi che quella partita ebbe significative ricadute sulla carriera dei due giocatori, che vi racconterò nel prossimo ed ultimo capitolo dedicato al leggendario match, se mai avrete il piacere di tornare a trovarci qui a Tennis Circus.

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