Si è parlato tanto prima della finale di ieri degli Us Open. Prima volta da quasi dieci anni (Australian Open 2005) che non si avevano due finalisti che non fossero Federer, Nadal o Djokovic. Dopo la vittoria di Wawrinka nella terra dei canguri ad inizio anno, dunque, una sorta di “de profundis” per l’era dei campioni sembrava cominciare a serpeggiare. Tristissimo, però, vedere un pubblico poco numeroso ad inizio partita: i grandi nomi sono diventati tali partendo da zero, come tutti. E ad una finale Slam si arriva per merito. Soprattutto in questo caso per i due protagonisti. Ad ogni modo poi lo stadio si è riempito.
Pillole del match: a impressionare è stata l’autorevolezza con cui Cilic ha dominato il suo avversario e quelli precedentemente affrontati. In appena 33 minuti di gioco vince il primo set, tenendo più volte il servizio a zero. Il secondo set scorre sullo stesso binario. Terzo set, Cilic sta dominando 4-1. Forse per la prima (e unica) volta nel match, Nishikori sembra poter dare qualcosa in più. Vince un game a zero in battuta (4-2) e poi si ritrova in vantaggio 40-15 sul servizio del croato. Ma Cilic, che ha vinto tutti i game del match risolti ai vantaggi, la spunta e per la prima volta si carica, urlando come una tigre. Fino a quel momento, nessun urlo, nessun sussulto, nessun agonismo. Solo un giocatore in campo. Lui.
Non possiamo risparmiarci sperticate lodi a Nishikori. Giovane, intelligente tatticamente, esplosivo, mobile: nell’ultimo anno è riuscito a battere i migliori, sovrastandoli in tutto e per tutto e dimostrando capacità di adattarsi all’avversario di turno. Ma, purtroppo, fragile fisicamente. Se il suo fisico non patirà troppo, Nishikori sarà top ten per molti anni e potrà togliersi molte soddisfazioni. Glielo auguriamo di cuore.
Quanto a Cilic, che dire. Lui è un gigante imparagonabile ai vari Raonic, Isner o Karlovic. Un gigante dalle mani buone. Un gran dritto, un buon rovescio. Ha sempre saputo giocare a tennis (top ten già quattro anni fa), questo è sicuro. Ma non aveva mai vinto prima un Master Series né un ATP 500. Quindi, come spiegare un exploit del genere? Il torneo della vita lo hanno tutti, indubbiamente. Ma alcuni miglioramenti sono palesi: Cilic ha migliorato e non di poco un servizio che prima era solo sufficiente, anche grazie al supporto dell’allenatore, Goran Ivanisevic. Il game perfetto (quattro ace) con Nishikori ne è la prova. Se a questo aggiungiamo una sorprendente vena in risposta (reattività da primi della classe) e una condizione fisica e mentale impressionante, ecco spiegato il successo. Cilic è sembrato nelle ultime partite un robot in campo, capace di fare quel che voleva. Una macchina da tennis imbattibile per chiunque, anche per il fenomenale giapponese. A fare pallate come Berdych si perde, a buttarsi a rete come Federer si viene passati regolarmente e si perde, a giocare (o provare) a giocare d’anticipo come Nishikori si perde. Da buon giocatore a fenomeno. In due settimane.
Era impronosticabile questo match. Del resto Nishikori aveva sofferto e molto contro Raonic, altro gran servizio ma meno costante nello scambio di Cilic. Quanto al croato, invece, a metterlo in serissima difficoltà era stato un regolarista (ma dalle buone accelerazioni) come Simon, sottovalutato ex top ten. L’unico nel torneo ad aver trovato la chiave per impensierire Marin. Paradossalmente è stato quel match il suo capolavoro: il francese aveva battuto il croato quattro volte su quattro. Forse il Cilic di altri tempi avrebbe perso al quinto, pagando dazio al più solido Simon. Ma così non è stato. Col senno di poi, era un segnale inequivocabile.
In tanti presentavano Cilic come un futuro campione quando era apparso sulla scena pro. Del resto era l’ultimo, grande prodotto della scuola croata, che da Ivanisevic in poi aveva sfornato tennisti di alto livello (seppur non eccessivamente creativi). A fare da spartiacque tra l’essere fenomeno e essere campione è la costanza. Marin è ancora giovane, può ancora dare tanto al tennis. E vincere. Sta a lui. Alla costanza. Perché, oltre ogni colpo, è la costanza e l’eterna determinazione ad aver reso Federer (nonostante quel che si pensi), Nadal e Djokovic quello che sono. Il carisma non si compra. E Marin sembrava farne difetto. Sembrava. Lo attendiamo con piacere al varco.