Negli Emirati Arabi sono tornati in scena i primi della classe. Se Nadal si è aggiudicato il torneo rullando Khachanov e poi rimontando in finale un ottimo Tsitsipas, Djokovic ha dovuto accontentarsi del terzo posto, frutto della sconfitta lottata con il greco e della successiva vittoria netta con il russo – il quale l’aveva battuto a sorpresa nella finale di Bercy 2018, toccando il picco della sua carriera, che ha poi vissuto una fase interlocutoria.
Le indicazioni di un torneo di esibizione vanno prese con le pinze, eppure è inevitabile porsi qualche domanda in vista dell’anno che viene. Tsitsi, dopo la semifinale australiana e soprattutto la vittoria delle Finals, vuole sedersi definitivamente al tavolo dei grandi e l’ha dimostrato una volta di più battendo il numero due. Nole, dal canto suo, ha speso belle parole per Stefanos. “È un giocatore spettacolare, ha tutto per diventare una stella di questo sport e punta giustamente a stare tra i primi tre al mondo. È un obiettivo ambizioso e difficile, che richiede grande continuità, ma non ho dubbi che ci possa riuscire”, e si è poi soffermato sulla propria condizione, dichiarandosi soddisfatto di come si è mosso in campo, anche se alcuni aspetti del suo gioco vanno messi a punto in vista di ATP Cup e Australian Open.
L’impressione è che nelle ultime due stagioni Novak si sia reso conto di non poter più essere il costante dominatore degli anni passati, quello che arriva in doppia cifra di tornei vinti e lascia agli altri soltanto le briciole, e che di conseguenza abbia scelto di privilegiare i major, senza strapparsi i capelli (anche sono oggettivamente ben radicati) per le battute d’arresto rimediate nei momenti di forma calante. L’anno scorso ha perso, oltre che da Federer, Tsitsipas, Nadal, Thiem (due volte) e Wawrinka, anche da Kohlschreiber, Bautista Agut (due volte) e Medvedev (due volte). Sconfitte sorprendenti, così come quelle da Kachanov a Bercy 2018 e da Zverev alle Finals di un anno fa, che lui ha accettato come normali incidenti di percorso. In questi momenti si rivela un Nole un pochino più fragile del normale, che talvolta si accontenta perché la ricerca delle righe diventa meno proficua, che piazza qualche errore gratuito in più che in passato e che concede qualche giornata di licenza alla sua proverbiale forza mentale.
Però quando sente l’odore del sangue in formato cinque set, si trasforma e ritorna il vampiro di sempre. Ha vinto quattro Slam su sei: due Wimbledon consecutivi – affrontando una sfida epica in ciascuna edizione, rispettivamente la semifinale con Nadal e la finale con Federer -, oltre a Us Open 2018 e Australian Open 2019. In questi contesti torna simile a com’era in passato: a volte soffre ma resta sempre lì, fiducioso e paziente come un maestro zen, ad aspettare la partita. Se invece le difficoltà non ci sono, gli basta muovere un dito per schiacciare l’avversario e sbrigare la pratica con nadaliana ferocia e serbare le energie per i turni successivi. Sì, perché con l’età che avanza, questo delle energie comincia a essere un tema importante anche per loro (oltre che per Federer): due maratone consecutive possono diventare letali. Su questo devono puntare i next gen e questo può essere l’elemento decisivo per un’eventuale deposizione dei tre tiranni: i ragazzi sono oggi più solidi, hanno vinto tanto nei due su tre, adesso devono fare quello scatto per mettere in difficoltà i mostri anche al meglio dei cinque, in modo da proporre loro un percorso meno agevole. L’Australia dirà tantissimo. I tre tenori rimangono probabilmente favoriti, Nole su tutti – impossibile non pensare alla marcia trionfale dello scorso anno -, però l’assalto dei giovani sarà più serio del solito e avrà qualche probabilità di successo.
C’è poi un altro elemento che non riesco a togliermi dalla testa, per quanto nessuno dei protagonisti sarà mai disposto a confermarlo: gli strascichi di Wimbledon 2019. Può suonare strano, ma i segni di una partita del genere non si ripercuotono solo su chi ha perso, per motivi diversi. Intanto è stata un’impresa incredibile che ha prosciugato le energie emotive di entrambi, lo stesso Novak alla fine si è detto soprattutto stanco, e appariva quasi più sollevato che fosse finita che felice per la vittoria. Questo tipo di energia mentale ha un modo di rigenerarsi diverso da quella fisica, può tornare subito o rimanere in difetto per molto tempo. In fondo dopo aver completato il Career Grande Slam a Parigi nel 2016, Djokovic è poi rimasto a digiuno di Slam per più di due anni. Inoltre – teoria opinabile, lo so – vincendo quella partita Nole ha scarabocchiato la Gioconda, ha sfregiato con lo spray la Cappella Sistina, ha sconvolto un disegno cosmico del destino, tirandosi addosso una sorta di maledizione di Tutankhamon. Ora, questo non vuol dire che una punizione divina gli impedirà di vincere altri Slam, ma che, semplicemente, dovrà anche lui sostenere il peso psicologico di ciò che – buon per lui – ha combinato quel giorno. È stato uno dei match più assurdi della storia, mi pare sensato supporre che abbia contraccolpi psicologici su entrambi. Senza dubbio nell’ultima parte di stagione il serbo – pur vincendo un 500 e un 1000, ma da lui ci si aspetta sempre il massimo – ha condiviso con l’elvetico una certa stanchezza, ma con la nuova stagione la corsa ricomincerà.
Il sogno proibito di Novak sono i 20 Slam di Federer – e/o eventualmente di Nadal, in agguato a 19 -, strettamente connessi alla questione Goat – almeno per il suo aspetto meramente numerico -, e il 2020 sarà decisivo per capire se quei numeri possono essere raggiunti e superati oppure no.