È stato strano, e insieme meraviglioso e commovente, vedere un ragazzone di 1,98 centimetri piangere come un bambino tentando invano di nascondere le lacrime dietro l’asciugamano. Il colosso di Tandil, come siamo abituati a chiamarlo, aveva ottenuto la sua vittoria più bella dopo il suo ritorno nel tour dopo due anni di calvario, al primo turno di Madrid. Aveva battuto il n. 14 al mondo Dominic Thiem, autore fin qui di una stagione prodigiosa, il tennista che – dopo Djokovic – aveva vinto più partite nel 2016.
Del Potro era n. 275 al mondo alla vigilia del torneo di Madrid, e veniva da una bruciante sconfitta contro Philipp Kohlschreiber, la settimana passata a Monaco, che pareva averlo sprofondato nell’abisso. “Il ranking mostra il reale valore di un giocatore, e il mio valore attuale è da n. 300 del mondo – aveva commentato a caldo, sconsolato -, devo allenarmi, accumulare partite e sconfiggere i miei problemi al polso. Sarà un percorso lungo e faticoso”.
In Spagna, invece, le cose sono andate in modo diverso: un Juan Martin Del Potro autorevole ed esplosivo ha domato in due set uno dei giovani giocatori più forti e ambiziosi del circuito. Dieci ace e dritti pazzeschi e profondissimi, che ieri fin dall’inizio hanno reso inerme il gioco tecnico e vario di Thiem, costringendolo a remare dal fondo e tentare qualche disperato recupero, forse confidando che la solidità dell’argentino non potesse durare. Invece, dopo un primo set vinto dopo una battaglia al tie-break, Delpo si è aggiudicato il secondo per 6-3. Dopo l’ultimo dritto in corsa sbagliato dall’austriaco, errore decisivo per il risultato finale, Juan ha alzato le braccia al cielo, lasciandosi andare a un pianto liberatorio. Di felicità, di una gioia incontenibile, che non ha potuto fare a meno di trasmettere a tutti gli appassionati che hanno assistito a tutte le delusioni e alle continue traversie che ha dovuto passare negli ultimi anni.
Un veloce ripasso? Sei anni fa, a inizio 2010, Juan Martin Del Potro era diventato n. 4 al mondo, a pochi mesi di distanza dal successo agli Us Open 2009, doveva aveva battuto in finale Sua maestà Roger Federer. A 21 anni l’argentino era già un campione, sicuro dominatore degli anni a venire insieme a Federer, Nadal, Djokovic e Murray. I top-five. Poi l’inizio di un dramma professionale senza fine: prima il grave infortunio al polso destro, che lo costrinse a sottoporsi a una delicata operazione e lo fece saltare tutto l’anno e sprofondare oltre la 200esima posizione. Rientra l’anno successivo, torna al successo nel torneo statunitense di Delray Beach e conclude la stagione all’11esima posizione. Dopo lunghi mesi di recupero e livelli incostanti, nel 2012 sembra sul punto di ritornare nell’Olimpo dei più forti: quarti di finale agli Australian Open e soprattutto medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Londra, in cui ricorderemo sempre l’epico e interminabile scontro in semifinale perso contro Roger Federer. Le buone prestazioni continuano nel 2013, quando conquista la semifinale a Wimbledon, si aggiudica 4 titoli e chiude alla quarta posizione mondiale. Due anni fa l’inizio di un altro calvario: dopo aver vinto il titolo di Sydney, si ritira al primo turno di Dubai ed esce dal campo in lacrime di dolore per il riacutizzarsi di un problema al polso. Questa volta il sinistro, che già gli aveva causato numerosi fastidi a partire dal 2012. Da quel momento sono passati due anni, due operazioni, mesi di recuperi, riabilitazioni, pianti, ritorni falliti, disperati allenamenti con rovescio a una mano. E infine il ritorno, un paio di mesi fa a Delray Beach, il primo torneo che aveva vinto quattro anni fa dopo il primo grave infortunio.
A giugno 2015 l’argentino aveva scritto una lettera a cuore aperto ai fan che chiedevano aggiornamenti sulla sua situazione, annunciando di doversi sottoporre a un altro intervento (il terzo) al tendine lesionato del polso sinistro: “Ciao a tutti, volevo salutarvi su cosa è accaduto nella mia vita negli ultimi mesi”, aveva esordito, come se si rivolgesse a vecchi amici d’infanzia. “Sono stati giorni tristi, dove non riuscivo a vedere la fine del tunnel per il mio infortunio al polso… Ma voglio dirvi che non mollerò. […] Se c’è una cosa che voglio fare è giocare a tennis“. Da qui la necessità dell’intervento, per smettere di provare dolore: “La mia famiglia, i miei amici più cari sono d’accordo con i miei allenatori: vogliono che sia contento come persona senza aver dolore. Sanno cosa il tennis significa per me, sanno quando mi diverto, quando soffro, le emozioni che mi provoca questo sport. Alla fine del giorno non vogliono vedere una persona, un fratello che sta soffrendo. Muchas gracias e un forte abbraccio”.
“Se vuoi far ridere il buon Dio, raccontagli i tuoi progetti”, sussurrava Susaña a Octavio nel film Amores Perros di Alejandro González Iñárritu, ambientato a Città del Messico. Un altro mondo rispetto all’Argentina di Delpo, che però racconta profondamente bene lo spirito dell’America latina, diviso tra sogno e fallimento, magica fiaba e turpe realtà, con cui bisogna fare i conti ogni giorno, con l’umiltà che solo i grandi uomini e le grandi donne sanno possedere. A 27 anni e una lunga carriera alle spalle, Del Potro è costretto farsi strada fra le retrovie, guadagnare posizioni e trovare il suo gioco ottimale come se fosse un giovane promettente. Lottare in un circuito profondamente cambiato, dove i ‘vecchi’ resistono ma le nuove generazioni premono con tutte le loro forze per scalzare i vecchi Dei e far girare più rapida l’inevitabile ruota del tempo. L’umiltà e il senso di sacrificio, Juan la conosce e l’ha imparata da tempo sulla sua pelle, perché dall’Olimpo e dai successi la sorte l’ha trascinato giù fino agli inferi. Piano piano, però, è risalito.
O meglio, sta risalendo. La vittoria contro Dominic Thiem a Madrid, è sembrato il tanto agognato risveglio dopo un lungo incubo, la “fine del tunnel” che Delpo ha descritto un anno fa per parlare della sua vita. “A volte è molto difficile trattenere le emozioni – ha detto a caldo ieri, la faccia appena asciugata dal pianto. “Ho tanta gioia dentro di me oggi, perché stanno accadendo grandi cose per me. Finalmente non piangevo perché dovevo ritirarmi, o perché il mio polso mi faceva male o per qualsiasi altra cosa, no. Ma perché sono felice”.
“Se vuoi far ridere il buon Dio, raccontagli i tuoi progetti”, diceva Susaña con voce sconsolata. E’ vero, ma se vuoi che Dio ti prenda sul serio, fai di tutto per realizzarli e rialzati, sempre. Questo sembra il diktat della carriera, della vita di Juan Martin Del Potro, che a 27 anni finalmente rivede la luce. Ora il 2016 è continuato con grandissimi risultati: argento olimpico, con lo scalpo di Djokovic, buoni US Open, sconfitto solo da Wawrinka, e dulcis in fundo finale di Davis conquistata contro i campioni in carica della Grand Bretagna. Il destino è stato a tratti perfido per Del Potro, ma ora l’argentino è pronto a riprendersi il maltolto. Buena suerte, Juan Martin.