Destini incrociati: Roberto Carretero

Pochi ricorderanno Roberto Carretero. Di sicuro gli appassionati più attenti anche ai particolari. In effetti è una storia piuttosto datata, che risale ormai a quasi venti anni fa, e vede il suo clou proprio ad Amburgo, anno di grazia 1996, quando il torneo tedesco era uno dei più importanti al mondo (allora c’era il circuito “super 9”).
Accadde che un giocatore spagnolo, uno dei tantissimi che già allora frequentavano il circuito e spesso dominando i tornei sul “rosso”, vinse il torneo. Il punto è che non solo egli non era tra i favoriti, ma che poi non seppe più ripetersi in nessun modo. È questa la storia di Roberto Carretero.

Sarebbe in effetti riduttivo dire che la sua vicenda sia legata solo ad un torneo. Di fatti Carretero ebbe una carriera da junior di assoluto prestigio, con la vittoria al Roland Garros e la sconfitta in finale all’Orange Bowl (in entrambe le occasioni fu opposto al connazionale Albert Costa). Ma come spesso accade il passaggio al professionismo è uno scoglio difficile da scalare, e nonostante tutte le buone promesse, spesso ci si perde.

Roberto-Carretero-jugador

Non è questo il caso di Roberto Carretero però, perché in effetti la sua carriera, tra alti (Amburgo) e bassi (tanti) l’ha fatta, ritirandosi nel 2001.

Di lui ricorderò sempre la finale del torneo, un bellissima esibizione di “power-tennis”, condita da un comportamento guascone ma davvero simpatico, mai offensivo nei confronti dell’avversario. A quella finale Roberto giunse con una cavalcata che iniziò dalle qualificazioni, visto che la sua classifica dell’epoca era attorno alle 140esima posizione. Mise in fila diversi giocatori, tra i quali il francese Arnaud Boetsch e lo statunitense Malivai Washington. Carretero giocava un tennis già moderno: servizio molto liftato che teneva l’avversario lontano dalla rete, e poi un dritto devastante, specie lungo-riga, oltre a un rovescio ad una mano che lo sdoganava ai miei occhi di cultore del tennis old-style.

Kafelnikov all’epoca era superfavorito, ma si sentiva l’aria della sorpresa, dell’impresa e quindi della leggenda. Talvolta accade che il campione debba soccombere dinanzi al nuovo arrivato. Tutti pronosticarono all’epoca una carriera da “spagnolo”, per Carretero, che era stato solo lento da arrivare nel tennis che contava, ma di sicuro si sarebbe restato.

Per il vostro scrivano, in realtà Carretero era già un nome sentito e visto, in un match televisivo che lo opponeva ad un altro Carneade del tennis, questa volta italico, ovvero Corrado Borroni, milanese con un nome di battesimo importante nel tennis italiano.

Infatti Carretero giocò proprio contro Borroni nel 1995 a Roma, e come spesso accade suscitò una certa antipatia, soprattutto perché reo di aver sconfitto al primo turno il mio tennista-conterraneo, l’ottimo Gianluca Pozzi, decisamente mai a suo agio sulla terra rossa.

Contro Borroni non ci fu match sul piano del tifo, visto che il popolo di appassionati aveva preso sotto la sua ala protettiva il nostro giocatore che visse una bellissima settimana romana, proveniente anche lui dalle qualificazioni e, ironia della sorte, autore di una vittoria al terzo set contro Kafelnikov, proprio come accadrà per Carretero la settimana successiva. Poi la storia di Corrado si interruppe bruscamente a causa dell’artrosi alle anche, un destino decisamente sfortunato, una storia da raccontare.

Entrambi i giocatori si presentavano con un look da tennista anni ’70: capello lungo, sguardo sicuro, atteggiamento divertito. Fu un bel match, di tennis aperto, con tanti vincenti, e lo vinse Borroni con due tie-break (e sempre per gli amanti delle statistiche, o direi io del destino, Borroni tornò a Roma l’anno successivo, sempre superando le qualificazioni, e giocando al primo turno di nuovo contro Kafelinkov…).

La favola di Carretero però era destinata già alla conclusione, paradossalmente proprio dopo la più grande vittoria della sua carriera. Grazie alla quella vittoria Roberto entrò tra i top 100, in posizione molto buona (58) che gli consentiva di giocare tornei importanti direttamente nel tabellone principale.

Ma proprio a Roma, luogo evidentemente fatale per questo giocatore, accadde qualcosa che tutti gli osservatori ritengono oggi cruciale. Un match strano, brutto, contro Mark Philippoussis. L’australiano la mise sul piano della rissa. Ricordo ancora oggi la rabbia provata davanti alla tv. C’era molta gente perché Carretero era atteso dopo la vittoria ad Amburgo, e l’avversario era di quelli importanti. Un match che tra l’altro proponeva anche una forte differenza di stile: aggressivo l’australiano, “pallettaro” lo spagnolo.

Il pubblico romano però fu più propenso ad appoggiare Philippoussis (mentre il vostro redattore decise da quel momento di detestare l’australiano ad oltranza), che deliberatamente provocò lo spagnolo con un paio di pallate alla figura. Per farla breve i due arrivarono al diverbio. Il match finì per 7-6 al terzo set a favore dell’australiano. E si spense la luce nella testa di Roberto. Solo due dati, che mi paiono significativi: da quel momento in poi lo spagnolo perse 12 dei 13 tie-break giocati successivamente, e le sue vittorie nel circuito si poterono contare sulle dita di una mano.

L’anno successivo ritornò ad Amburgo, perdendo nettamente al secondo turno.  Poi si trascinò nel circuito challanger, con qualche acuto, ma non riuscì a tornare tra i primi 100 e nel circuito maggiore, segno che la sua mente e la tenuta psicologica non supportavano la potenza del suo fisico e del suo tennis.

Una bella favola, che continua oggi attraverso la sua Accademy, aperta con Carlos Moya, suo caro amico che nel 2006 lo convinse ad una comparasata nel circuito ATP giocando insieme il doppio (e vincendo un match, tra l’altro) nel torneo di Umag, e la sua carriera di commentatore sportivo per la tv spagnola.

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