“Cosa vuol dire avere
un metro e mezzo di statura,
ve lo rivelan gli occhi
e le battute della gente,
o la curiosità
di una ragazza irriverente
che si avvicina solo
per un suo dubbio impertinente”
Queste sono le parole che cantava, anzi recitava, il cantastorie Fabrizio De Andrè nella sua celeberrima “Un giudice”, e che si prestano perfettamente ad aprire una storia di quelle perfette per essere romanzate, una storia di quelle che commuovono, di quelle che narrano la rivincita dei piccoli sui grandi, dei Davide sui Golia. De Andrè cantava di un nano, deriso e bistrattato da tutti, che trovava la sua vendetta nella sua professione, quella del giudice, che finalmente gli permette di guardare tutti dall’alto.
IN MEZZO AI GIGANTI – El Peque, così lo chiamano in patria, soprannome per Diego Sebastiàn Schwartzman, non è certo un nano clinicamente parlando, ma lo è, col suo metro e settanta, in un mondo di giganti, quelli che dominano ormai l’ATP, un circuito dove l’altezza media tocca oramai il metro e novanta. Diego è ormai abituato a dover alzare la testa quando si avvicina alla rete per stringere la mano agli Isner, ai Karlovic, ai Cilic di turno, e lo fa con coraggio, conscio del fatto che alzare la testa sia meglio che abbassare lo sguardo. “Il lavoro ci farà liberi, la libertà ci farà grandi”, diceva Garibaldi, e Schwartzman nel suo lavoro, nella sua passione, ha trovato il modo di diventare grande.
GLI INIZI – Diego nasce il 16 Agosto 1992 a Buenos Aires, e cresce a Villa Crespo, uno dei più grandi quartieri della capitale argentina, capace di raccogliere da sé un numero di abitanti pari a quelli di una città di media grandezza. I genitori, papà Ricardo e mamma Silvana, erano tutto sommato benestanti, avevano una proprietà a Los Cardales, località di villeggiatura dove portano Diego ed i fratelli Andrès, Natali e Matias. Il padre si occupava di esportazioni, e gli affari andavano bene; poi il 2001, la crisi, la svalutazione del pesos, e la famiglia Schwartzman, così come milioni di famiglie argentine, si ritrova in grave difficoltà. Diego, che sul finire degli anni 90 aveva iniziato a bazzicare sui campi del Club Nautico Hacoj, importante centro polisportivo di Tigre, abbandonando il sogno imprescindibile di ogni bambino che nasce nella terra d’argento, ovvero quello di seguire le orme dei grandi calciatori (Diego ambiva a diventare il nuovo Juan Roman Riquelme), aveva bisogno di viaggiare, per coltivare la sua carriera, per farla crescere, almeno quella, visto il suo fisico, di crescere, non sembrava molto intenzionato. Ma la famiglia è pronta a sacrificarsi, e la madre lo accompagna, con una macchina fra l’altro non certo delle più performanti, in giro per l’Argentina; Diego per fortuna vince, e coi risultati arrivano anche i primi aiuti, che danno un po’ di respiro alle finanze, ormai stremate, della famiglia. Diego Sebastiàn, ormai divenuto grande, può finalmente camminare con le sue gambe. Lo spirito di sacrificio certo non gli manca, ed è la madre ad averglielo insegnato, quando, pur di raccogliere qualche risorsa utile a finanziare la causa del figlio, decide di “mettersi in proprio”, vendendo, fuori dagli impianti dove il figlio disputava i suoi tornei, dei braccialetti di gomma realizzati dal marito. El Peque fa la sua gavetta, saltando quasi del tutto la carriera da junior e buttandosi subito nella gabbia dei leoni, fra quei giganti che però non gli fanno paura: d’altronde Diego è sempre stato il più piccolo, lo era anche in famiglia, ultimo di quattro fratelli.
IL PRIMO TRIONFO – Diego parte dal basso, come è ormai abituato a fare, ma punta in alto, molto in alto, senza però dimenticare l’umiltà conosciuta ed interiorizzata a Villa Crespo, dove tutt’ora vive. Nel 2016, alla prima finale ATP, arriva il primo titolo: Schwartzman, tennista di un metro e settanta argentino, di origini ebraiche, batte in finale il Baby Federer, Grigor Dimitrov. Una finale strana, dove ancora una volta El Peque deve risalire la cruna: 7-6 5-2 Dimitrov, una partita che sembra ormai aver detto il suo; Diego però ci crede, contro tutto e tutti, contro i pregiudizi, contro i suoi limiti, contro chi gli diceva che il suo fisico non era fatto per giocare a tennis. Si issa sino al 5-5, poi il destino per una volta gira a suo favore, a favore del più debole, e Dimitrov si contorce in preda ai crampi. 7-6 Schwartzman il secondo set. Il terzo set è una formalità, dove El Peque deve solo fare attenzione a non perdere la concentrazione fra una sfuriata e l’altra di un Dimitrov irriconoscibile, incapace di controllare gli impeti di un’ira travolgente. 6-0 e primo titolo per il nativo di Bueons Aires.
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DI NECESSITA’ VIRTU’ – Quest’anno Diego è riuscito a fare ancora meglio, raggiungendo il suo best ranking, agguantando la posizione numero 34, un posto di tutto rispetto conquistato facendo a spallate, “dall’alto” del suo metro e settanta; l’argentino, che ha in un primo momento vissuto un complesso di inferiorità, che per sua stessa ammissione gli ha impedito, agli albori della sua carriera, di esprimersi al meglio, negandogli la gioia dei primi successo, è diventato grande, e con umiltà è stato in grado di fare della sua debolezza un punto di forza, un tratto distintivo: ha lavorato sulla risposta, divenendo uno dei migliori risponditori, con l’obiettivo, più volte dichiarato al suo allenatore stesso, di arrivare fra le prime posizioni in tutte le statistiche compilate dall’ATP in merito alle performance in risposta. El Peque è agile, si muove benissimo, esprime il suo tennis in un repertorio di gesti accomunati da un dualismo di coordinazione e velocità fuori dal comune. È entrato nel circuito in silenzio a fari spenti, senza destare scalpore, senza essere annunciato da roboanti titoli di giornale, senza essere accompagnato da utopistici quanto irreali premonizioni di successo assicurato, ma ha saputo ritagliarsi il suo spazio, senza paura, nel trionfo di un qualcosa era razionalmente impronosticabile solo irrazionalmente auspicabile, ha dimostrato che il tennis non è uno sport per soli giganti.
CHANCE US OPEN – Domani Diego Sebastiàn Schwartzman, approfittando di una parte bassa del tabellone apertasi in modo del tutto inaspettato in seguito al subitaneo forfait di Murray ed alle sorprendenti eliminazioni premature delle poche teste di serie rimaste nella seconda metà del main draw, si giocherà per la prima volta l’accesso ai quarti di finale di uno Slam. Un’ascesa romantica e bella, bellissima, una rincorsa partita dal basso e che non accenna a fermarsi. El Peque è amibzioso, vuole arrivare più in alto possibile, nel trionfo del dionisiaco sull’apollineo dei corpi scolpiti e lungiformi che tiranneggiano nel mondo della racchetta, dimostrando a tutti quelli che non credevano in lui, a tutti quelli che lo guardavano con un sentimento di derisione misto a pietà, che anche lui sa essere grande.
“Passano gli anni, i mesi, e se li conti anche i minuti, è triste trovarsi adulti senza essere cresciuti” cantava il cantastorie di Genova: sono passati gli anni, ma Diego è finalmente cresciuto, i colleghi sono avvisati. El Peque non intende fermarsi proprio sul più bello.