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Gabriela Sabatini: talento e grazia al servizio del tennis

Gabriela Sabatini ha di che ringraziare madre natura per averla dotata di talento raro nella pratica dell’esercizio tennistico. Questo è certo; ma è altrettanto certo che la sorte, birichina talvolta, ne ha compresso il potenziale tra l’era di Navratilova ed Evert che volgeva al capolinea, quella del massimo apogeo di Graf, e quella proiettata nel futuro di Seles. Ergo… ha vinto meno di quel che forse un’abilità con la racchetta così palese avrebbe meritato, battendo sì è bene dirlo più volte simili campionesse. E ciò ha dato lustro ad una carriera da predestinata.

L’argentina, nata a Buenos Aires il 16 maggio 1970, appare infatti precocissima sul palcoscenico del tennis mondiale portando una ventata di grazia, simpatia ed eleganza, necessarie in un teatro in cui recita qualche virago di troppo. Il palmares da baby-junior è eccellente ma già nel 1985, bimba dirottata tra le grandi, è capace di giungere in semifinale al mondiale su terra battuta, il Roland-Garros, dove sbatte su Evert, troppo più esperta, forte ed anche affascinate di lei. Ma la ragazzina impara in fretta, colpisce bene dritto e rovescio a cui associa abilità nel gioco di volo, peccato un servizietto troppo tenero per progetti ambiziosi, ma è già tempo di infiltrare la top-ten.

La sfida è lanciata, Sabatini è un gradino sotto le grandi avversarie che incrocia sulla sua strada ma può appoggiarsi al pubblico che ovunque la sostiene, ammaliato da fattezze seducenti, un sorriso timido che cattura ed eleganza nel gesto tecnico. “Cammina come un cowboy“, “ha la mobilità di John Wayne“, “le spalle sono da nuotatrice“, è quel che si mormora in giro, ma non importa, Gabriela conquista le platee e quando l’adolescente si trasforma in donna, sponsor e televisioni le fanno la corte.

Vetrine e pagine sono per lei ma i risultati non si fanno attendere. Sabatini è una cliente fissa nei tornei che contano, ovvero Grande Slam, ma la fetta di tabellone che preferisce sembrano essere le semifinali dove giunge con regolarità impressionante ma dove con altrettanta regolarità trova qualche campionessa che ne rimanda le illusioni di trionfo. Tra il 1985 e il 1995 ne globalizza 15 (!!), è beniamina indiscussa del torneo di Roma che la elegge regina quattro volte (1988/1989/1991/1992), vince due volte il Masters di fine anno (1988/1994), a Key Biscane alza la coppa nel 1989. Insomma, Sabatini può ragionevolmente considerarsi tra le grandi protagoniste del tennis in gonnella per almeno un decennio, numero tre di top-ranking proprio nel 1989.

Ma le manca lo Slam, la consacrazione che renda immortale il suo nome, e qui inevitabilmente la sua parabola si interseca con quella di Graf, che la sconfigge in finale a New York nel 1988. Con la tedesca la rivalità è accesa, atletica e potente Steffi, compassata e raffinata Gabriela che vincerà 11 sfide dirette delle 40 disputate, perdendo la finale ai Giochi Olimpici di Seul del 1988, cedendo di un nulla in unamemorabile finale di Wimbledon nel 1991, 8-6 al terzo set dopo esser stata a due punti dalla vittoria, ma proprio a Flushing Meadows, nel 1990, prendendosi una sonora rivincita e mettendo in bacheca l’unico Major in carriera, punteggio 6-2 7-6.

Sabatini si iscrive così nel ristretto novero delle leggenda del tennis: non solo grazia ed avvenenza, ma infine il talento trova il conforto della vittoria di pregio.

A cura di Nicola Pucci per il blog SportHistoria 

Redazione Tennis Circus

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