L’ARMA CHE NON INVECCHIA: IL SERVIZIO – “Voi gridavate cose orrende e violentissime, voi siete imbruttiti. Io gridavo cose giuste e ora sono uno splendido quarantenne” – Ivo Karlovic da Zagabria non ha ancora spento le quaranta candeline, ma con i suoi 37 anni e mezzo è il quarto tennista più vecchio della storia ad aver vinto un titolo ATP (la scorsa domenica, nel neonato torneo di Los Cabos, Messico). Dall’alto dei suoi duecentoundici centimetri per centoquattro chilogrammi, Doctor Ivo (soprannome derivato da un videogioco degli anni ’90) continua imperterrito a bombardare gli avversari col suo servizio micidiale, incurante delle primavere che si accumulano sulle spalle. Ivo Karlovic è il suo servizio, la sentenza di morte sparata dal primo piano di un appartamento, una prima che non lascia scampo nemmeno ai migliori ribattitori e una seconda per cui – parafrasando Beppe Viola – ogni tennista accetterebbe di avere 37 e 2 di febbre. Il croato, professore dell’ace (esattamente un anno fa ha superato quota 10.000 in carriera, qualche mese dopo ne ha tirati giù ancora, fino a superare il record di Ivanisevic e diventarne il primatista mondiale), ha saputo costruire il proprio tennis “minimalista” su un fondamentale che, da giovane, allenava di notte in campi non illuminati e noleggiati ad un prezzo agevolato. Però non di solo servizio vive l’uomo Karlovic, che nel corso degli anni ha affinato il proprio gioco di volo e, quelle poche volte in cui scambia da fondocampo, può contare su un piattissimo dritto mortifero (se giocato da fermo) e un insidioso rovescio in back per prendere la via della rete (che difende poi con la sua maestosa apertura alare). Non aspettatevi un rovescio coperto (eseguito a una mano, quelle rare volte), non ne gioca uno in top dalla fine degli anni ’90 (ipse dixit in uno dei suoi salaci interventi su Twitter, social network in cui il timido gigante esterna una notevole verve).
LA GIGANTOMACHIA – Ivone impiega più tempo dei colleghi per mettere insieme i pezzi del proprio gioco e arriva tardi nel circuito maggiore (e questo, a detta del croato, è uno dei segreti della sua longevità), ne dà prima testimonianza uno stordito Pescosolido che lo incontra all’ultimo turno delle qualificazioni di Wimbledon del 2003. Karlovic, numero 203 al mondo, lo spazza via a suon di servizi vincenti e centra l’ingresso nel tabellone principale, al primo turno lo attende il campione uscente Lleyton “Diavoletto” Hewitt, combattivo ribattitore che l’anno precedente ha sfruttato il rallentamento dell’erba londinese imponendosi nella prima – triste – finale di Wimbledon senza serve and volley. Hewitt vince il primo set in appena 19 minuti, sembra il prologo alla disfatta, invece Doctor Ivo reagisce e non dà scampo all’australiano: il Gigante irrompe nell’Olimpo e sconfigge Zeus, il detentore del titolo (per la prima volta eliminato all’esordio a Wimbledon nell’era Open) viene sconfitto in quattro set. La corsa di Ivone si ferma solo al terzo turno, nella battaglia di servizi contro Max “The Beast” Mirnyi, ma nel corso della stagione si aggiudica due challenger e raggiunge il terzo turno (passando ancora dalle qualificazioni) a Flushing Meadows, superando il talentuoso mancino Hicham Arazi prima di arrendersi – in tre tie break, d’altronde il “7-6” è quasi sempre la naturale conclusione di un set giocato dal croato (fino ad oggi sono 648 i tie break disputati nel circuito maggiore, di cui 328 vinti) – all’olandese Sjeng Schalken. A settembre, il ventiquattrenne Karlovic fa il suo ingresso nella top100, dove (eccetto brevi pause dovute a infortuni) resterà per tredici anni (e, probabilmente, oltre).
STORIA DI IVO L’ERBIVORO – Sebbene non sia più quella superficie rapidissima che aveva permesso al connazionale e idolo d’infanzia Goran Ivanisevic di aggiudicarsi l’ambito trofeo di Wimbledon seppellendo gli avversari col suo mortale servizio mancino, l’erba resta il terreno ideale per il tennis d’antan di Ivone – con avversari molto spesso inermi spettatori del suo tiro al bersaglio – e, nel 2005, raggiunge la prima finale ATP sui prati del Queen’s, cedendo in due tie break a un altro grande battitore come Andy Roddick. Bisognerà attendere due anni per vederlo finalmente trionfare: nel 2007 si aggiudica ben tre tornei (Houston, Nottingham e Stoccolma) e si avvicina al suo best ranking di numero 14 al mondo, che toccherà l’anno successivo grazie alla vittoria a Nottingham e alla semifinale a Cincinnati (ottenuta superando la sua nemesi, quel Roger Federer che lo ha battuto in 13 incontri su 14). A Wimbledon ’09 si spinge fino ai quarti (miglior risultato in uno Slam, le gare tre su cinque non sono la specialità del nostro che – sulla distanza – paga l’eccessiva mole) dove viene sconfitto dal futuro vincitore Roger Federer. A metà 2010 deve operarsi al tallone d’Achille, resta fermo sette mesi e, al ritorno in campo, non riesce a confermare i vecchi risultati: attraversa il periodo più buio della sua carriera e precipita fino al numero 239 della classifica, torna nei primi 50 prima di perdere cento posizioni. Proprio quando la storia di Ivo, a 34 anni, sembra avviarsi alla conclusione, il vecchio gigante buono compie l’ennesimo miracolo e, approfittando di un buon tabellone a Bogotà, si aggiudica il suo quinto ATP250. E’ il segnale della rinascita: l’anno seguente raggiunge quattro finali su quattro diverse superfici (il cemento indoor di Memphis, la terra battuta di Dusseldorf, l’erba di Newport e il cemento outdoor di Bogotà), esce sconfitto in tutte ma non si perde d’animo e trova il riscatto con i titoli di Delray Beach (2015) e Newport (2016), fino all’ottava perla, il trionfo a Los Cabos superando all’atto conclusivo Feliciano Lopez, altro decano del circuito.
L’IRREGOLARITA’ NEL TENNIS MODERNO – Con la vittoria in Messico, Doctor Ivo è tornato ad occupare la ventesima piazza della classifica; è lecito sognare un miglioramento dello storico best ranking, non avendo molti punti da difendere fino al prossimo aprile, quando le primavere saranno trentotto. Il tennis ridotto all’osso di Karlovic, ultimo anacronistico e intransigente serve&volley-man (che spesso non ha nemmeno bisogno di arrivare alla “fase volley”, seppur dotato di un tocco per nulla disprezzabile) nell’era dell’omologazione, resiste agli effetti del tempo e all’evoluzione dello sport, risultando ancora (più) efficace contro i moderni robottini dal gioco regolare. L’assenza di ritmo nello scambio e i continui attacchi a rete di Ivone lo rendono un’anomalia per gli avversari, soprattutto per i giovani abituati al monotematico scambio da fondo (e lo stesso Novak Djokovic, dominatore incontrastato del circuito, è riuscito a domare la bestia Karlovic solo una volta su quattro incontri). Ivone non sembra intenzionato ad appendere la racchetta al chiodo a breve, il tennis lo diverte ancora e quella pallina sparata da più di tre metri d’altezza (e che ha toccato anche i 251 km/h) continua a mietere vittime illustri. La lotta del Gigante contro gli dei dell’Olimpo non è ancora conclusa.