Lleyton Hewitt e l’indomabile furore di un eletto

Questi appena passati sono stati gli Australian Open di Novak Djokovic, di Angelique Kerber, ma soprattutto di Lleyton "Rusty" Hewitt, che qui - dopo vent'anni - ha dato il suo ultimo saluto prima del ritiro. Scopriamolo meglio con un bellissimo ritratto di Samantha Casella.

Può essere soddisfatto Lleyton Hewitt, il leone di Adelaide che fece sentire forte il suo ruggito quando era ancora un cucciolo sedicenne e proprio su quel cemento che gli ha dato i natali dove sconfisse in semifinale Andre Agassi per poi andarsi a prendere il titolo sul proprio connazionale Jason Stoltenberg al termine di una battaglia sopita solo dal tie-break decisivo, giusto per offrire un assaggio di cosa doveva aspettarsi il circuito quando di mezzo c’era lui, un terreno in cui il furore avrebbe sempre avuto la meglio sui codici infiocchettati e l’orgoglio avrebbe sempre preceduto una qualsivoglia forma di saggezza; lui, interamente Rusty, privo di un qualsiasi aspetto multiforme, fedele a sé stesso ed alla predestinazione che l’avrebbe accompagnato al di là dei cancelli dell’olimpo nel settembre del 2001, quando rese ancora più caotica New York, e da lì proseguire in una corsa a perdifiato che lo ha eletto il n.1 del mondo più giovane della storia del tennis, verso un secondo slam nel luglio del 2002, in quella che, quanto ad atmosfera, per antonomasia può essere considerato l’antitesi dell’U.S Open, ossia Wimbledon, rendendo magiche due stagioni sigillate con in testa la corona d’alloro di Maestro.

Hewitt

Può essere soddisfatto Hewitt, seppure con già all’attivo così tanto quando era ancora in tenera età, le aspettative post 2002, forse, erano ben altre; ma altri slam non ne sarebbero mai più arrivati, e laddove tirano i grandi venti avrebbe messo tutti in riga solo ad Indian Wells, e seppure innegabile deve essere stata la gioia nell’incidere il proprio nome per la quarta volta al Queen’s, questo nel 2006, e nel battere in due finali Roger Federer, ciò ad Halle 2010 ed a Brisbane 2014, difficilmente tra le pieghe di quei 30 tornei tornei conquistati in totale non si avvertono ventate taglienti, così come insostenibilmente amare deve essere stata la finale persa nella sua Melbourne, all’Australian Open nel 2005 contro il resuscitato Marat Safin.

Può essere soddisfatto Lleyton, può esserlo nonostante gli incessanti infortuni che hanno reso fragili e a corrente alternata oltre una decina di annate di un uomo che, va ripetuto, era un eletto, e nonostante questo ha dovuto scoprire sulla sua pelle come nello sport l’anima debba troppo spesso fare i conti con la carne, con un logorio che corrode anche la tempra più tenace, che indebolisce, che umanizza, anche lui così indomabile, spietato singolarista ma anche eroico trascinatore in Coppa Davis, quel Rusty che a ventidue anni aveva vinto più incontri in Coppa Davis di qualsiasi altro giocatore australiano, che ha trascinato la sua nazione in quattro finali, che ha alzato al cielo due insalatiere e che ora, come capitano, mira ad impugnarne altre ancora.

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Può essere soddisfatto Lleyton Hewitt, un tempo promesso sposo di Kim Clijsters, abbandonata con già il vestito vestito bianco nell’armadio pronto per l’uso, eppure abbandonata per amore dell’attrice australiana Bec Cartwright, splendida moglie sempre al suo fianco che l’ha resto padre di tre bellezze: Mia Rebecca, Ava e Cruz; ennesimo tassello pronto a testimoniare come quel biondino mezzo selvaggio ce l’ha fatta in tutti i campi.

Può essere soddisfatto pure di come è calato il sipario sulla carriera, nello slam di casa, un ultimo match disputato contro un David Ferrer che non è stato baciato dagli dei del tennis ma è un valoroso soldatino la cui umiltà è oro, esempio, così come un esempio sarebbe diventato lui, Lleyton Hewitt, e anche di questo può dirsi soddisfatto perché in verità un tempo era tanto amato solo in Patria, mentre fuori era assai mal digerito, tanto per il gioco quanto per i modi, finché per incanto ha smesso di vincere ed anziché ottenebrarsi è diventato ancora più campione di prima, dimostrando una passione illimitata per uno sport al di là della gloria, vuoi perché era un guerriero, vuoi perché immortale lo era già.
Samantha Casella,

Regista e fondatrice del portale TennisFocusOn e della pagina Focus On: Svetlana Kuznetsova

0 comments
  1. Ottimo articolo. Lleyton resterà nella storia del tennis, che lo si ami o meno. Se non ci fosse stato lui, e sono parole di Federer, non gli sarebbe scattata quella molla in testa. Se non ci fossero stati loro, non avremmo avuto Nadal e Djokovic.
    Hanno cambiato il tennis, e a loro va il nostro grazie.

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