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Marcus Willis: dall’anonimato a Church Road

Cinque mesi fa Marcus Willis era un tennista incompiuto, una vita data al tennis senza coglierne i frutti del successo. Era tutto pronto per dire basta con un lavoro sicuro come maestro in uno sperduto circolo americano, mancava solo il visto che sarebbe stato pronto di lì a giorni, ma come sappiamo la vita a volte mette in disordine i tuoi piani. La suo nuova fiamma Jennifer forse attirata da una vita di viaggi intorno al globo, lo sprona a continuare dicendogli che lasciare il tennis in quel momento sarebbe stata la cosa più stupida che avesse potuto fare. Da quella frase scatta qualcosa in Marcus, per riprendersi da due brutti infortuni si iscrive ai campionati a squadre francesi, dove rimane imbattuto per ben tredici incontri. Dietro a questi piccoli grandi successi però si nasconde un durissimo lavoro in palestra, prendendo come ispirazione Cartman il bambino con problemi di peso della serie comedy americana “South Park”. E adesso si arriva alla parte della sua vita che la reso, almeno per qualche giorno un eroe, in una Gran Bretagna così duramente segnata dallo shock per l’uscita dall’UE. Il cammino di Marcus per il tabellone di Wimbledon parte dalle pre-qualificazioni con una polo modello Roger Federer, usata dallo svizzero a Church Road nel 2014, con sulla manica sinistra il marchio “RF”, perché Marcus di sponsor non ne ha mai avuti. Passate le pre-quali, si va a quello che gli inglesi amano definire lo show gratuito più bello del mondo: Le “Gentlemen’s Qualfying Singles”.Uno dopo l’altro Marcus sconfigge la testa di serie numero quattro Sugita, poi la stellina russa Rublev ed infine Medvedev in quattro set, il risultato più importante di una carriera: il posto nel tabellone nel torneo di tennis che tutti i bambini sognano di giocare, per di più da numero 775 delle classifiche mondiali. La sua avventura non terminerà come in un film “Hollywoodiano”, con il Duca di Kent che lo applaude mentre bacia la coppa dorata, ma sicuramente quando sarà vecchio avrà qualcosa da raccontare ai suoi nipotini, magari su una sedia a dondolo.

Gianluca Henry

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