Ieri notte c’era un’aria diversa, quasi epica, attorno al Louis Armstrong di New York. “I love you, Mardy!”: era questo il grido ripetuto durante tutto il match, addirittura otto, dieci volte in un solo game. Il pubblico è stato tutto per lui e l’incontro uno dei più coinvolgenti e combattuti, in cui l’americano ha ottenuto nel primo set ben l’86% dei punti con la prima.
Mardy e lo spagnolo Feliciano Lopez sono stati protagonisti di una partita indimenticabile e agonisticamente coinvolgente. Il ragazzo del Minnesota ha confermato ancora una volta una classe con pochi paragoni e al nono gioco
Ma occasione si è trasformata purtroppo in una speranza sfumata: infatti, i tre game successivi sono stati del suo avversario, che lo ha portato al quinto. Qui però è stato assalito dai crampi, riuscendo comunque a rimediare 3 game. Lo score finale è di 2-6 6-3 1-6 7-5 6-3. Al termine della partita il pubblico lo ha salutato con una standing ovation che lo spagnolo, vincitore, ha rispettato rinunciando a esultare.
Così si chiude l’ultimo capitolo tennistico di quello che è stato più volte definito il “gentleman del tennis”. Grande il sostegno del pubblico, poca la gloria. Il suo fisico da 33 enne lo ha abbandonato nel quinto set come durante il corso della sua carriera. Infatti, il suo corpo provato da aritmie cardiache, problemi vascolari, muscoli tenui, depressione, insonnia – non ha mai sorretto il suo innegabile talento.
Classe 1981 talento raro, nativo del Minnesota, vincitore di sei titoli del circuito maggiore, Mardy si è sempre distinto per il suo gioco
Figlio di maestri di tennis, a due anni Mardy sa già tirare la palla da fondo campo oltre la rete e una televisione locale lo celebra come bambino prodigio. La famiglia Fish si trasferisce in Florida, e Mardy conosce alla High School Andy Roddick Addirittura, per un certo periodo, nel 1999, il giovane Fish vive a casa dei Roddick e Mardy ed Andy giocano nella stessa squadra di basket e, ovviamente di tennis.
Nel 2003 si affaccia al professionismo, che celebra con la vittoria sul’allora n.1 del mondo, Carlos Moya al secondo turno dell’Australian Open. Perde successivamente in finale a Cincinnati al tie-break decisivo, proprio dal il suo amico e compagno Andy Roddick in un match epico. A 22 anni vince il suo primo torneo ATP a Stoccolma e approda in Top 20.
A 23 anni vince l’argento alle Olimpiadi di Atene, perdendo in finale contro il cileno Nicolas Massu; ma la gloria dura poco, infatti a 24 anni dal 2005 al 2007 il giovane e talentuoso Fish incorre in vari vari infortuni al polso sinistro che lo costringono ad operarsi due volte e a vivere le stagioni successive tra alti e bassi nel tennis precipitando a quota 225 del ranking ATP. Ma a 27 anni dopo la finale di Indian Wells contro Djokovic, torna a ridosso dei top players. Prima dei 28 anni, fa sua la seconda finale del Masters 1000 di Cincinnati. Dopo una maratona incredibile battendo in successione Gasquet, Murray e Roddich e cedendo in finale solo a Roger Federer.
A 30 anni, nel 2011 raggiunge il suo best ranking, il settimo posto della classifica mondiale. Il 2011 risulta essere la sua miglior stagione in carriera. Conquista i quarti a Wimbledon, poi sul cemento nord-americano vince ad Atlanta, è in finale a Los Angeles, e al Master 1000 di Toronto (sconfitto ancora da Nole), in semifinale a Cincinnati e quarti allo US Open. La classifica infine lo premia con un biglietto per le Finals di Londra.
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Nel 2012 però ricominciano i guai. A 31 anni a Miami s’accorge di gravi problemi cardiaci che lo portano ai i primi incontrollabili attacchi di panico. Riesce a convivere con le proprie angosce tra i 32 e i 33 anni, ma è costretto per un anno e mezzo a restare alla finestra del “tennis che conta”.
Mardy non molla e, dopo il rientro avvenuto la scorsa primavera 2015 a Indian Wells, decide di chiudere la sua carriera a Flushing Meadows, come già i suoi eminenti colleghi americani Andre Agassi e Andy Roddick avevano fatto.
The players’ tribune nel suo contributo a Mardy Fish riporta la testimonianza di un suggestivo Mardy Fish, un messaggio di speranza dalle sue stesse parole , la testimonianza, a dispetto della malattia, che l’umanità, con tutti i suoi limiti può renderci vincenti nello sport ma soprattutto nella vita.
“Non giocare.
Mancano ore a che io giochi il più importante match della mia carriera, al quarto turno degli US Open, nel Labour day, che poi coincide col compleanno di mio padre, sull’Arthur Ashe, contro Roger Federer. Mancano ancora molte ore alla partita contro il miglior giocatore di tutti i tempi, una chance per me, nel torneo che preferisco, un match per il quale hai da sempre lavorato per tutta la tua carriera.
E non posso farlo
Sono in macchina in viaggio verso il torneo
E sto avendo un attacco d’ansia.
Mia moglie chiede cosa può fare per farmi stare meglio
Io le dico la verità. “L’unica cosa che mi farebbe sentire meglio sarebbe di non giocare il match”“Ancora desidero di fare cose importanti, se non nel tennis in altri sport.
Ho cambiato tutto nella mia vita: stile di vita, alimentazione, sono dimagrito.
Ma non ci sono tornei di sanità mentale, né quarti, né semifinali o finali.
Ciò che voglio dire è che lo sport finisce con un risultato, la vita continua.”