Come fai a lasciarti alle spalle l’unica vita che tu abbia mai conosciuto? Come ti allontani dai campi su cui ti sei allenata da quando eri una bambina, il gioco che ami, che ti ha portato dolori e felicità incredibili, uno sport in cui hai trovato una famiglia, insieme ai tifosi che ti seguono da sempre, oltre 28 anni? Lo so questo, quindi per favore perdonami. Tennis, ti sto dicendo addio.
Comincia così la lunga e sofferta lettera di addio di Maria Sharapova, che sulle pagine di Vanity Fair e Vogue annuncia il suo ritiro ufficiale dal tennis. È una notizia non del tutto inaspettata, date le enormi difficoltà da cui faticava a riprendersi, ma nemmeno così prevedibile. Sapevamo che questo giorno sarebbe potuto arrivare presto, ma quando accade davvero ti spiazza comunque. Maria Sharapova non giocherà più. A soli 32 anni (33 ad aprile) abbandona il professionismo, esce di scena, saluta tutti e se ne va, tra gli applausi. Dice addio allo sport che l’ha resa un’icona dentro e fuori dal campo per 15 anni; lo sport che l’ha portata a toccare e conquistare la sua vetta e che l’ha fatta anche precipitare.
Si ritira da numero 373 del mondo, lei che è stata per 5 volte campionessa Slam; si ritira perché i dolori alla spalla, che si porta dietro da tempo, sono ormai insostenibili per restare ad alti livelli; si ritira, forse, perché sa di non poter più raggiungere gli obiettivi che vorrebbe, e una campionessa così non può resistere nell’ombra, nei bassi fondi della classifica. Non può sopportare di uscire ai primi turni, di non riuscire ad imporsi sulla propria avversaria, di non potersi esprimere al meglio. Così se ne va, apparentemente da sconfitta, ma comunque consapevole di ciò che ha fatto e di ciò che non avrebbe più potuto fare.
La prima volta che ricordo di aver visto un campo da tennis ci giocava mio padre. Avevo quattro anni, a Sochi, in Russia; ero così piccola che le mie minuscole gambe pendevano dalla panca su cui ero seduta. Così piccola che la racchetta che ho raccolto accanto a me era grande il doppio di me. Quando ho iniziato a giocare, le ragazze dall’altra parte della rete erano sempre più grandi, più alte e più forti. Ma a poco a poco, dopo ogni giorno di allenamento in campo, questo mondo quasi mitico è diventato sempre più reale.
La piccola Maria, dunque, comincia presto a dedicarsi al tennis e dimostra fin da subito enormi potenzialità. La leggenda del tennis Martina Navratilova consigliò alla sua famiglia di portarla negli Stati Uniti per farle frequentare l’Accademia di Nick Bollettieri, e così fu. All’età di nove anni divenne allieva del grande allenatore statunitense e otto anni più tardi cominciò a scrivere memorabili pagine della storia del tennis: nel 2004, a soli 17 anni, vince il suo primo Slam, a Wimbledon, contro Serena Williams, con il punteggio netto di 6-1, 6-4. Non si tratta di un exploit fortuito, o di una ragazza prodigio poi sparita dalla scena, si tratta solo del primo incredibile acuto di una vera campionessa, che non si fermò lì. Nello stesso anno si aggiudicò anche le WTA Finals, poi nel 2006 arriva il successo agli Us Open, nel 2008 agli Australian Open e nel 2012 e 2014 le due grandi scalate per la vittoria del Roland Garros. Diventa così una delle 10 tenniste ad aver completato il Career Grand Slam. Nel mezzo poi arrivano in totale 36 titoli (tra cui i tre ottenuti agli Internazionali d’Italia) e un argento ai giochi olimpici di Londra 2012.
Giocatrice molto agguerrita, dotata di grande forza mentale e profondo spirito di competizione. In campo è glaciale, concentrata su se stessa, non le importa di niente, nemmeno di passare per antipatica. Tennista aggressiva, attacca da fondo con grande potenza, punta a prendere in mano le redini dello scambio per comandare il gioco. Per questo predilige le superfici rapide. Il suo tennis non è il migliore, ma la sua arma letale è nella testa. Questo modo di stare in campo, probabilmente, rappresenta bene anche il suo carattere forte e determinato.
Oltre ai successi sul campo, in quegli stessi anni la tennista russa conosce un’incredibile fama anche fuori dal tennis. Diventa un icona di bellezza, testimonial di campagne pubblicitarie e famosi brand in tutto il mondo; diventa un vera e propria diva, inserita per cinque anni consecutivi da Forbes (dal 2005 al 2009) nella lista delle celebrità più potenti al mondo. E praticamente fino ad oggi è sempre stata la tennista più pagata al mondo, dimostrando anche un buon fiuto imprenditoriale.
Il 26 gennaio 2016, però, comincia il suo inarrestabile declino sportivo: viene trovata positiva al test antidoping durante gli Australian Open, a causa dell’assunzione del farmaco Meldonium (tra le sostanze proibite a partire proprio dal primo gennaio di quell’anno). Dopo aver ricorso in appello, la pena, dai 24 mesi iniziali, fu ridotta a 15 mesi di squalifica. Una macchia indelebile sulla sua splendida carriera. Negli anni successivi non riesce mai a tornare veramente ad alti livelli, complici anche continui fastidi fisici che la tengono lontana dai campi.
Nel 2018 ritrova almeno la top 30, ma non è più la macchina da guerra del passato. Non ha più la forza mentale, la freddezza, la cattiveria e la potenza di prima; diventa una giocatrice come tante; perde fiducia, fatica a trovare una condizione fisica adeguata e si avvia ad un rapido declino. Nel 2019 incanala una sconfitta dopo l’altra e scivola inesorabilmente alla posizione numero 377 del ranking WTA.
Risalire da quel baratro è una sfida impegnativa e probabilmente Maria non è riuscita a vedere la luce verso cui tendere con speranza e forza di volontà. Così oggi, 26 febbraio 2020, Maria Sharapova, detta Masha, dice addio al tennis, ad attenderla nuove sfide e nuove opportunità. Certo, il futuro di una bellissima, intelligente e milionaria donna di 32 anni non può che essere radioso. Buona vita!
Guardando indietro ora, mi rendo conto che il tennis è stata la mia montagna. Il mio percorso è stato riempito di valli e deviazioni, ma i panorami dalla sua cima erano incredibili. Il tennis mi ha mostrato il mondo e mi ha mostrato di che pasta sono fatta. Con esso mi sono messa alla prova e ho misurato la mia crescita. Così in qualunque cosa sceglierò per il mio prossimo capitolo, la mia prossima montagna, continuerò a spingere. Continuerò ad arrampicarmi. Continuerò a crescere.