Parigi, 8 Giugno 2003. Sulla preziosa terra rossa del Centrale a Porte d’Auteuil prende vita la 102esima finale del Roland Garros, a contendersi la Coppa dei Moschettieri lo specialista della terra Juan Carlos Ferrero, N°3 del Ranking ed indiscusso favorito del torneo, e un autentico sconosciuto, l’olandese Mark Verkerk, uno spilungone di 27 anni e N°46 al mondo sul quale all’inizio del torneo nessuno avrebbe scommesso un solo centesimo.
Nato a Leiderdrop, a pochi Km di distanza dalla più conosciuta Rotterdam, Verkerk non aveva mai raggiunto in carriera un risultato di quella importanza, nei primi anni di professionismo infatti Martin gioca soprattutto tornei minori, il suo nome compare spesso nei Challenger e nei Future della fine dello scorso millennio. Il 2002 è l’anno della svolta, dopo aver ottenuto due vittorie in tornei minori, arriva per la prima volta ai quarti di un torneo ATP battendo ad Indianapolis prima Ljubicic, poi Popp e infine l’inglese Henman ritiratosi però nel turno precedente.
La carriera dell’Albatros olandese (1m98cm) sembra avviarsi verso grandi successi, l’ingresso nella Top100 mondiale sembra solo l’inizio di un’importante scalata verso posizioni più importanti: grazie al suo servizio molto potente, Martin rappresentava un temibile avversario sulle superfici veloci anche per i Big di quegli anni, uno fra questi è il russo Evgenij Kafelnikov, ex N°1 del mondo che nel 2003 si trova dinanzi Verkerk in finale nell’ormai sparito torneo indoor di Milano.
La finale è una battaglia epica, Martin vince il primo set, Kafelnikov il secondo: nonostante il terreno veloce ed i numerosi Ace dell’olandese (alla fine saranno 30) i favori del pronostico sono chiaramente per il russo che però cede il break decisivo sul 6-5, consentendo a Verkerk di trionfare e vincere il suo primo torneo ATP in carriera. E pensare che Martin a quel torneo non avrebbe dovuto neanche esserci, visto che vi era entrato solo grazie al ritiro del vincitore degli Australian Open Thomas Johansson!
Il 2003 è l’anno d’oro per Martin, nonostante l’eliminazione al primo turno degli Australian Open da parte del beniamino di casa Mark Philippoussis, l’inizio di stagione è di quelli da ricordare. Al Master di Roma il suo cammino si ferma ai quarti, fermato dallo stesso Kafelnikov, voglioso di rivincita sul terreno a lui più congeniale, mentre a St.Polten raggiunge la semifinale, battuto da un altro russo, Nikolaj Davydenko, sconfitto in finale dalla testa di serie N°1 Andy Roddick.
Ed eccoci infine giunti a Parigi. Martin è alla terza partecipazione ad uno Slam ma le due eliminazioni al primo turno nei due precedenti non sono certamente incoraggianti : da N°46, grazie al buon inizio di stagione, pesca il croato Krajan, una pratica che l’olandese risolve in 3 set senza storia. L’incredibile cavalcata dell’Albatros Olandese è solo all’inizio e diventa l’argomento principale di discussione a partire dal secondo turno quando dinanzi lo specialista Luis Horna, che aveva meritatamente eliminato Re Roger Federer, sfodera una prestazione memorabile, sotto 2 set a 1 salva prima 3 palle match e poi sconfigge al quinto il povero peruviano a suon di Aces.
“Dove può arrivare quello spilungone di quasi due metri che dice addirittura di trovarsi alla grande sulla terra rossa perché in grado di scivolare e di concludere al meglio i lunghi palleggi da fondo campo?” è la domanda che giornalisti e tifosi si fanno in quei giorni, la risposta rimane in sospeso al terzo turno contro l’americano Spadea ed anche agli ottavi contro il N°11 Schuttler. In Olanda scattano i festeggiamenti per la vittoria contro un Top Player in uno Slam e la speranza di vedere Martin vincere il prestigioso torneo cresce di giorno in giorno.
Alla vigilia del Match dei quarti contro Carlos Moya, vincitore a Parigi nel 1998 ed ex N°1, si assapora l’impresa dell’olandese, qualcuno si affida addirittura alla storia della predestinazione presente nel nome Ver=Lontana e Kerk=Chiesa, in ogni caso il pronostico è indiscutibilmente a favore dello Spagnolo che secondo molti chiuderà la storia di Martin in modo rapido e devastante. Non andrà esattamente cosi.
Verkerk vola sin dai primi scambi e senza alcuna pressione addosso si aggiudica i primi due set a suon di Aces e rovesci, Moya in stato di shock reagisce aggiudicandosi i due set successivi : la battaglia tra i due assume contorni epici, non c’è più nulla di certo in campo e nessuno è in grado di prevedere cosa accadrà nell’ultimo e decisivo set. La parità va avanti fra i due fino al 6-6, poi il break di Verkerk, agilissimo in campo e capace di guadagnarsi il punto con dritti e rovesci potenti: l’ultimo game è un autentico bombardamento, 4 prime potenti lasciano a 0 Moya, Verkerk, tra l’incredulità di tutti, cade a terra fra le lacrime.
L’epica battaglia Moya-Verkerk
Un grande del tennis italiano, Gianni Clerici, alla vigilia della semifinale di Verkerk contro il muro Argentino Guillermo Coria, dipingeva cosi l’unica chance che Martin aveva per arrivare in finale: “Dovrebbe non perdere mai il servizio e chiudere 7/6 i tre tiebreak”. Martin ne vinse esattamente due, il primo e l’ultimo, e di set ne bastarono 3 per chiudere la pratica Coria in poco più di 2 ore, Verkerk è in finale.
Coria senza scampo contro Verkerk
Mosquito in spagnolo significa Zanzara ed è il soprannome che accompagnò Juan Carlos Ferrero nei suoi anni tennistici, non solo per la corporatura esile ma anche per lo stile “pungente e ripetitivo” dello spagnolo. Dato per favorito sin dall’inizio del torneo, Ferrero aveva a Parigi la grande occasione per togliere dal Curriculum un altro soprannome che gli era stato affibbiato per le tante occasioni perse, Eterno Secondo.
A differenza di Verkerk, il torneo dello spagnolo era stato piuttosto in discesa, l’unico ostacolo vero era stato ai Quarti Fernando Gonzalez che aveva richiesto a Ferrero un surplus di lavoro di gambe per riuscire ad arginare il gioco violento del tennista cileno. Con ogni probabilità fu proprio la freschezza atletica il fattore determinante che decise la finale di Parigi: provato infatti da un torneo estremamente faticoso e certamente bloccato dall’emozione di un palcoscenico di cosi grande importanza, Martin si trovò dinanzi un avversario che fin dall’inizio non gli concesse replica ne possibilità di cambiare il destino di un match già scritto. Il pesante 6-1, 6-3, 6-2 con il quale Ferrero si aggiudicò la Coppa dei Moschettieri chiuse la grande cavalcata di Verkerk, omaggiato da un pubblico che gli tributò un caloroso e lungo applauso per l’impresa di quei giorni.
Gli ultimi scambi del match e la premiazione
“Sono arrivato tardi ad ottenere successi perché ero pigro. Tra i 18 e i 21 anni ho goduto della vita, ho fatto le mie esperienze. E sono contento di averle fatte soprattutto vedendo i giovani di adesso che non hanno approfittato di questi 3 anni cosi importanti”. Con queste parole il talentuoso ma troppo dilettante Verkerk spiegava il suo arrivo ai massimi livelli del tennis mondiale, un livello che però durò molto poco. Salito in classifica nella top 20 grazie a quell’incredibile exploit di Parigi, Martin non riuscì a ripetersi nei tornei successivi.
L’anno successivo dopo aver vinto il torneo di casa ad Amersfoort, un infortunio alla spalla lo costringe a fermarsi per quasi due anni, il tentativo di rientrare nel circuito non andò a buon fine e alla fine del 2008 annunciò il suo definitivo ritiro.
Martin Verkerk oggi ha un’accademia in Olanda, a Noordwijkerhout per l’esattezza, una scuola reputata fra le migliori dove molti professionisti insegnano tennis ai bambini, cercando di scovare qualche talento, magari un giorno in grado di ripetere l’impresa incredibile di quello spilungone olandese che stupì il mondo del tennis.