L’imperturbabilità, ma soprattutto, la impenetrabilità ad ogni tentativo di decifrazione hanno fatto della Sfinge l’esempio dei limiti dell’umano sapere.
Nel tennis, specchio del sapere umano, non facciamo differenza. Esistono infatti giocatori (e giocatrici, soprattutto) davvero difficili da interpretare, talvolta sfuggenti, taciturni, oppure all’opposto, stranamente loquaci e pronti ad esternare le proprie emozioni in campo e fuori.
Tra i giocatori ascrivibili alla prima categoria c’è senza dubbio Milos Raonic.
Il canadese dei Balcani è un giocatore che è destinato a far parlare di sé per i risultati che può raggiungere e per quanto già fatto vedere. Ma la mia curiosità oggi non sarà tanto orientata a discuterne delle caratteristiche tecniche o tattiche, quanto piuttosto a tracciarne una quadro psicologico, ed emotivo, se possibile.
Una specie di analisi alla Eric Fromm, se il paragone non apparirà ai miei tre lettori troppo azzardato, a distanza. E proviamoci dunque.
Raonic appare distaccato, quasi freddo, in campo. Talvolta ai limiti della indolenza, prigo. Il suo incedere richiama quei vecchi gatti persiani, padroni indiscussi della loro casa, che non sis concedono alle attenzioni dei visitatori. Una prima impressione, decisamente sbagliata però. Osservando il canadese in campo ci si accorge che dietro questo paravento di distacco e quasi casualità circa la propria presenza su un campo da tennis, c’è la studiatissima volontà di portare a casa il risultato. Ma soprattutto una straordinaria concentrazione circa i propri mezzi.
Milos non guarda troppo il pubblico, non parla ad alta voce, si presenta statuario in campo, con quel fisico da fenicottero che pochi, in gioventù, gli riconoscevano come compatibile col tennis moderno. E invece. Grazie al lavoro di coach Piatti e del suo team (ivi compreso del buon Ivan Ljubicic, convolato a giuste e sorprendenti nozze con Roger Federer) questo giocatore così poco mobile ma straordinariamente dotato di potenza, è diventato un top player, capace di bussare ai piani altissimi del ranking.
Ma come la Sfinge, Milos non si fa impressionare da chi ha di fronte, e propone il suo enigma, ovvero il suo tennis fatto di bordate micidiali al servizio, di staffilate degne di una battaglia aerea col dritto. Eppure si presenta in doppio, con l’umiltà di chi vuole imparare dove mettersi a rete, come giocare una volée complicata, nonostante una mano che quando c’è da “toccarla piano” non dà del tu alla pallina. Invece di accontentarsi (si fa per dire) di quello che sa già fare.
L’atteggiamento di Raonic è quello di chi non va di fretta, di chi si muove con un incedere da gigante in una cristalliera, ben sapendo però qual è la strada da percorrere. Insomma, come la Sfinge presenta enigmi. E noi, come Edipo, saremo capaci di risolverli?
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La negazione del tennis :(.