Roger Federer, la normalità dell’essere campione

Roger Federer con la vittoria a Cincinnati vola verso gli Us open con una valigia carica di aspettative e con l’obiettivo di mettere in bacheca lo Slam numero diciotto. Le ultime stagioni per lui non sono state semplici, alle prese con un fisico che non da più le garanzie di un tempo. Dietro i 33 anni e la maschera da campione strapagato però c’è ancora l’entusiasmo del ragazzino e la normalità del padre di famiglia.

di Lorenza Paolucci

Il personaggio Roger Federer è stato descritto da tanti ed in tutte le salse. La perfezione, l’eleganza, “il più forte di tutti i tempi”, la signorilità dentro e fuori il rettangolo di gioco. Ma a parlare di Roger sono i gesti, le parole, le emozioni che si porta dietro dopo ogni vittoria e dopo ogni sconfitta.
 Lo scorso anno visse la stagione più difficile della sua carriera, alle prese con la drastica realtà che rivelava un gioco diventato obsoleto, causa soprattutto una minore velocità negli spostamenti. Flessione fisiologica per un ultratrentenne ma drastica per chi da ragazzino snobbava gli allenamenti perchè consapevole di avere nelle mani qualcosa in più di tutti gli altri. In questo 2014 invece lo svizzero è tornato a giocarsela con i più giovani, agguerriti ed in questo momento più forti rivali, migliorando un tennis che non lo rendeva più competitivo. E’ l’umiltà del fuoriclasse, di chi sa di non essere finito, ma che soprattutto non si sente ancora arrivato.
Il segreto della longevità di Federer sta nell’essere un ragazzo estremamente normale: dietro il talento da dono divino, i record di chi ha riscritto la storia della propria disciplina, la ricchezza frutto dei tanti trofei e del corteggiamento degli sponsor, c’è un tennista che ancora si diverte, che ancora si emoziona, un padre ed un marito innamorato dei propri affetti. In campo sa sfidare le leggi della balistica con la stessa facilità con la quale indossa un paio di scarpe, fuori sa passare da divo strappa autografi a l’uomo che dribbla gli impegni contrattuali per passare del tempo con la famiglia.
A Londra dopo la sconfitta con Djokovic ha trattenuto a stento le lacrime, mentre parlava rivolto alla moglie Mirka e alle due primogenite, a Cincinnati ha esultato come un ragazzino alle prime armi, mentre metteva in bacheca l’ottantesimo titolo di una carriera da predestinato.
La vittoria in Ohio lo pone come uno dei favoriti allo Us Open: l’assenza a New York di Rafa Nadal, che sulla lunga distanza sarebbe forse imbattibile per Roger, è un’autostrada da imboccare al volo e che potrebbe anche portarlo di nuovo n.1 del mondo.
Non sarebbe nè un nuovo inizio, nè la fine di un ciclo ma solo l’ennesimo capitolo di una storia che sembrava conclusa e che solo i fuoriclasse hanno la fantasia di poter continuare a scrivere.

Lorenza Paolucci

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