Si parla già da tempo del problema che affligge chiunque nel tennis non riesca a raggiungere uno status di ‘top’, ovvero la controversa questione del prize money, e per quanto la mancanza di una equa remunerazione nei tornei minori sia già di per sé una grave questione, dove il tennis ancora non è globalizzato ed aperto alle possibilità dei paesi più facoltosi anche un semplice astro nascente, promettente e con tutte le carte in regola per dire la sua, è costretto a provare sulla sua pelle il disagio e la disillusione per la mancanza di fondi, indispensabili per avere anche quella più piccola possibilità di farcela.
La storia di Takanyi Garanganga, classe ’90 e attualmente n.288 del mondo, parla della voglia di rivalsa di un giovane di talento, incoraggiato in modo sano dal padre Brad, che a 7 anni si è innamorato di uno sport al quale ha dedicato ogni ora di ogni giorno della sua vita. Gli sforzi della famiglia lo hanno portato fino negli Stati Uniti d’America, alla giovane età di 13 anni, affinché Takanyi riuscisse a realizzare il proprio sogno. La scelta di non gareggiare nel NCCA, nonostante il completamento degli studi presso la Keystone National High School, è stata presa dallo stesso giocatore in funzione di migliorare il suo gioco percorrendo la strada che dal circuito Junior, nel quale è stato Top20, porta al circuito maggiore e tanto ambito; quello che comprende Challenger e tornei ATP.
Da li in poi sono arrivate cinque vittorie in campo Futures, di cui una proprio in Zimbabwe, terra natia del giovane tennista, e ben quattro in Turchia.
E’ proprio dallo Zimbabwe, dalla parte povera della sua Harare, che sono iniziati a serpeggiare i primi problemi legati alle difficoltà di una nazione di portare avanti programmi relativi ad uno sport come il tennis, e non solo. Le esperienze di grande successo dei fratelli Black (Cara, ancora in attività per quanto riguarda il doppio femminile ed il doppio misto, Wayne, ex n.69 ATP, e Bryan, ex n.22 che ha addirittura raggiunto i quarti di finale nel prestigioso torneo Slam di Wimbledon) hanno parzialmente portato una nuova consapevolezza nella poco fertile terra africana del tennis, e nonostante il buon ciclo avviato da questi atleti il testimone sembrerebbe non aver trovato una giusta mano in grado di portarlo avanti nel suo percorso, prima come un araldo che come un campione fine a se stesso.
E’ qui, come è giusto che sia, che entra in gioco l’indomito Takanyi, che dietro ai suoi 24 anni ha già una perfetta prospettiva di un mondo che, almeno per chi è come lui, gira alla rovescia. I finanziamenti che gli hanno permesso di mettersi in gioco e di arrivare alla onorevole 288esima piazza mondiale (tuttora in ascesa!) sono provenuti principalmente dalla sua famiglia e dagli amici più intimi, che il giovane non scorda mai di ringraziare, e con il passare del tempo, sebbene i risultati siano arrivati eccome, altrettanto non si può dire per quanto riguarda un aiuto esterno. E’ una extrema ratio quella a cui è dovuto ricorrere Garanganga, il quale attraverso il portale Pledgesports.org ha lanciato un appello: “Posso diventare il prossimo volto del tennis africano, aiutatemi!”. Si chiama crowdfounding e, per chi non conoscesse tale pratica, si tratta di una semplice raccolta di fondi con un obiettivo da raggiungere in un determinato lasso di tempo, con l’interessato che promette delle personalissime ricompense come ringraziamento in base alla generosità dimostrata dagli avventori del progetto proposto.
In un mondo, soprattutto quello cannibalesco degli sport individuali, dove anche il merito vacilla di fronte ad interessi ed inadempienze, vale tutto, basta che funzioni, e se è vero che chiedere è lecito e rispondere è cortesia, allora non dovrebbe esserci nulla di male nel donare qualcosa per la splendida causa del Calimero del tennis zimbabwese.
Non dovrebbe mai stancare un discorso in cui i top players sono solo la punta di un iceberg che rischia seriamente di sciogliersi, principalmente a livello umano, senza la base e la enorme proprietà livellatrice data dalla miriade di realtà, come quella di Takanyi Garanganga, che vanno ad intrecciarsi creando una rete infinita di emozioni, solo culminanti nei grandi campioni da prima pagina. Il valore del lavoro non deve fermarsi alla comodità di una notizia troppo facile da scrivere quanto da leggere, così come la libertà di rincorrere un sogno, alimentato da speranze e spirito di sacrificio, non deve vedere spezzata la sua corsa, per preservare quanto di più sacro si possa trovare ogni giorno sui più lontani campi da tennis di questo mondo. Chi siamo noi, dunque, per impedire questo?
Se volete aiutare anche voi Takanyi con una piccola somma potete cliccare qui.
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