L’inizio rischia di essere fin troppo buono. Dal lato di Sinner funziona tutto a meraviglia mentre Herbert, che già partiva a sfavore di pronostico, pasticcia e riesce a mettere insieme soltanto dieci punti in un set. 6-1 e 23 minuti che non hanno bisogno di ulteriori commenti. Il pericolo ora è distrarsi e prestare il fianco a una reazione d’orgoglio. Come a dimostrare che non sono paranoie, arriva subito la prima palla break a sfavore, con un rovescio in rete, ma Jannik annulla con una seconda profonda, poi con un vincente e un ace tiene il servizio. Il problema è solo rimandato perché il break arriva nel terzo game, condito da un doppio fallo. Herbert attacca la rete (e si attacca alla rete) con l’istinto da doppista e prova a mettere paura a Jannik, però smarrisce la prima è si fa subito raggiungere sul due pari. Ma qualcosa è cambiato e, come a volte succede ai giocatori di casa in crisi mistica, Herbert si è acceso e ritrovato. Per contro Jannik comincia a sbagliare dritti a ripetizione alimentando il circolo vizioso che ha mutato il corso degli eventi. Il francese brekka ancora e pareggia il conto dei set.
Ora l’inerzia è diversa: un altro match, un’altra epoca, un altro gioco. Jannik soffre e Pierre-Hugues si esalta, con il pubblico che adesso respira con lui. È blackout totale, arrivano due break e il francese avanti 5-2 è in controllo totale.
A questo punto c’è poco da fare, ci vuole un’impresa, è il momento degli eroi. E Sinner con la forza della disperazione inaugura un parziale inatteso di quattro game consecutivi. Herbert ritrova il filo e si conquista il tiebreak, poi beneficia di qualche errore di troppo dell’italiano e di una spinta emotiva superiore: 2-1 e palla al centro con foschi presagi..
Il quarto set rimane a lungo senza padroni, Herbert insiste con il serve and volley mentre Jannik risponde da molto lontano e non trova incisività. Sinner imbrocca qualche scintilla isolata ma non s’incendia, poi è lui ad affacciarsi per primo sul baratro, concedendo cinque palle break sul 3-4. Il recupero da 0/40 e in seguito ai vantaggi non smonta il francese che si porta agevolmente sul 5-4. Il decimo game è una storia a sé, una Via Crucis. Stavolta il baratro ha l’aspetto più arcigno e definitivo, quello del matchpoint. Qui interviene la paura di vincere con un rovescio sballato in manovra che va a perdersi a sinistra del campo. E dal dramma sinneriano passiamo senza indugio a quello herbertiano. Nel game successivo Pierre si perde nella nebbia dei rimpianti, infila doppi falli e si fa strappare malamente il servizio. Jannik, quasi incredulo, corre a prendersi il parziale.
Si va al quinto con umori opposti. I fantasmi ingombrano la mente del francese portando in dote il prezioso break iniziale. Nel terzo game Herbert si sveglia, si salva e rimane in scia. Jannik conduce la barca fino al 5-3 e si appresta a rispondere con il vento (metaforico) a favore, ma spreca un paio di buone occasioni e va sotto 40/15. Herbert riapre il game con due doppi falli di seguito, poi il nastro trascina fuori il suo dritto a manda Jannik a matchpoint. Un ace cancella tutto, poi arriva il 5-4. Dopo Tre ore e mezza, Jannik servirà per il match. I primi due punti sono chirurgici, poi il francese sbaglia il passante: tre matchpoint. Sul primo c’è il doppio fallo, poi è un servizio vincente a chiudere questa gara di passione. Bravo Jannik che sembrava spacciato ma è rimasto lì con quella capacità novakiana di soffrire e risorgere dalla tomba al trono senza passare dal via. Sono esperienze preziose anche queste, ma non bisogna dimenticare che Herbert sulla terra non è un ostacolo insormontabile e che per fare strada in uno Slam serve una continuità diversa. Tra due giorni sarà derby azzurro contro Mager.