Ad iniziarla al mondo del tennis fu una partita di Monica Seles, l’ex tennista di cui la piccola Ana ammirava le gesta dalla tv di casa, fino a quando un giorno ebbe una folgorazione e decise che da grande quella sarebbe stata la sua vita. Ma se la grande Monica, serba lo era solo al 70%, tra famiglia ungherese e naturalizzazione americana, Ana di sangue slavo ne ha le vene gonfie, caldo e passionale come il suo carattere, che per la sua carriera fu più croce che delizia.
L’infanzia difficile in una Belgrado dilaniata dalla guerra, dove per allenarsi era costretta ad aspettare che terminassero i bombardamenti. Ana però ce l’ha fatta, fglia di una realtà difficile che lei ha saputo portare in giro per il mondo, senza perdere mai la propria identità. La Ivanovic per la nazione serba è stata molto di più di una semplice portabandiera, ha rappresentato il volto dell’emancipazione ed ha dato il la alla colonizzazione sportiva della sua nazione. Prima di Novak Djokovic e di Jelena Jankovic, fu lei a portare i colori slavi al n.1 del tennis mondiale.
Ana è stata anche un’icona di stile e di bellezza e soprattutto di umanità: ci ha insegnato come essere le più belle e le più brave, può nascondere dietro un’infinità fragilità. Senza i suoi limiti caratteriali avrebbe probabilmente vinto quanto il suo talento meritava, più di un solo titolo dello Slam. Nonostante ciò il suo addio al tennis giocato è sembrato sereno e deciso, coccolata anche dal matrimonio con il campione del Machester United Bastian Schweinsteiger, e probabilmente da un desiderio di famiglia.
Mancherà tanto al circuito WTA. Buona fortuna, Ana.