Arthur Ashe nasce a Richmond in Virginia il 10 Luglio 1943, ha un fratello di cinque anni più giovane e a soli sette anni rimane orfano di madre.
Il padre Arthur Sr. lo educa con una disciplina molto ferrea, spronandolo ad eccellere nello studio e nello sport.
Come ogni buon americano si appassiona al basket e al football , giocando come wide recevier, ma essendo fisicamente gracile il padre gli vieta di giocare uno sport fisico come questo e il giovane si avvicina al tennis.
Arthur è nero, in un’america divisa dalle leggi razziali, praticare uno sport per bianchi come il tennis non è facile, in suo aiuto arriva Walter Johnson di Lynchburgh che aveva fondato un’associazione per chi fosse “coloured”.
“Fu l’atteggiamento di mio padre a farmi capire che l’affrancamento di noi neri non era finito con la guerra di secessione o le altre leggi successive, ma era ancora in corso. La mia trisavola era stata venduta per una balla di tabacco, mio nonno era stato meno libero di mio padre, che era meno libero di me, ma non se ne lagnava. Io sarei stato il primo nero a praticare uno sport per bianchi.”
Nel 1958 diventa il primo afro-americano a giocare nei campionati del Maryland, nel 1960 si trasferisce a St.Louis per frequentare la Summer High School e poter esser più libero di competere.
Va a vivere con Richard Hudlin, amico di Johnson e diventa il primo afro-americano a vincere il titolo nazionale junior, gli si spalancano le porte per UCLA, dove viene ammesso con una borsa di studio.
E’ un precursore, nel 1963 viene selezionato per la squadra di Coppa Davis, naturalmente fino a quel momento composta solo da giocatori bianchi, nel 1965 vince il titolo NCAA in singolare e a squadre.
Finisce la carriera universitaria laureandosi in business administration, e nel 1969 è considerato il miglior giocatore statuitense, vincendo l’anno precedente l’UsOpen battendo in finale Tom Okker.
Ashe è una figura chiave nella formazione dell’Atp, quando il tennis ancora non ha la risonanza mediatica che conosciamo, e si batte attivamente contro l’apartheid, chiedendo l’espulsione della federazione sudafricana dal circuito, quando il governo di Johannesburg gli vieta di giocare a causa delle leggi razziali vigenti in Sud Africa.
La sua ascesa è costante, nel 1970 vince gli Asutralian Open, dominando Dick Crearly, tennista di casa, ha una flessione negli anni successivi, ma è nel 1975 che consacra definitivamente la sua carriera vincendo Wimbledon battendo contro pronostico il connazionale Jimmy Connors.
Ad oggi è l’unico tennista nero, assieme a Yannick Noah ad aver vinto dei titoli dello Slam.
La carriera di Arthur ha un brusco stop quattro anni dopo, quando colpito da un infarto decide di ritirarsi dedicandosi ad altre attività, scrisse per il Time, fece il commentatore per la ABC, fu nominato capitano di Coppa Davis e fondò la National Junior Tennis League.
Nel 1983 venne colpito da un’altro attacco di cuore e nel 1985 fu inserito nella Hall of Fame.
Nel 1988 la scoperta più drammatica, in seguito ad una trasfusione avvenuta durante una delle operazioni al cuore, aveva contratto il virus HIV, piaga degli anni ’80.
Riuscì assieme alla moglie a mantenere il segreto fino al 1992, quando Usa Today diede l’annuncio delle sue gravi condizioni di salute, appena pochi mesi dopo la conferenza stampa in cui Magic Johnson, celebre icona del basket americano, aveva annunciato la sua sieropositività.
La malattia di Ashe colpì l’opinione pubblica, fino a quel momento l’AIDS era un “prerogativa”, passatemi il brutto termine, di tossicodipendenti ed omosessuali, Magic aveva contratto il virus a causa di rapporti non protetti, Arthur non rientrava in nessuna delle categorie, così emerse il problema che questa tremenda malattia poteva colpire chiunque.
“Bisogna avere speranza, se ancora non ci sono rimedi per questa malattia, spero che in un futuro ci saranno.”
Arthur trascorse l’ultimo periodo della sua vita dedicandosi ancora una volta agli altri, fondando la Arthur Ashe Institute for Urban Health mirata ad occuparsi delle persone che avevano un’assicurazione medica insufficiente per la loro salute.
Sports Illustrated lo nominò sportivo dell’anno, concluse le sue memorie, Days of Grace una settimana prima della sua morte il 6 febbraio 1993.
Ecco a chi è dedicato il campo principale degli UsOpen, ad un giocatore ed una persona straordinaria, dotata di tanto talento quanta generosità verso gli altri.