di Samantha Casella
Come qualsiasi adolescente cresciuto nel Paese che pare essere in grado di garantire a ogni suo cittadino “almeno 15 minuti di notorietà”, anche Lindsay Davenport quando si interrogava sul proprio futuro, avrà sicuramente fatto una serie di voli pindarici. Nata a Palos Verdes, l’8 giugno del 1976, figlia di un ex membro della rappresentativa Olimpica statunitense di pallavolo del 1968, un fisico destinato a sfiorare il metro e 90 cm di altezza per un peso forma di 80 kg; almeno fino ai quattordici anni, Lindsay Davenport non avrebbe però mai pensato che, a distanza di ventiquattro anni, sarebbe stata accolta nella Hall of Fame; il tempio in cui le gesta dei più grandi tennisti di sempre risplendono per l’eternità. A quanto pare, fino ai quindici anni, al tennis Lindsay non ci ha proprio mai pensato.
Di certo, una volta impugnata la racchetta, l’escalation dell’americana è stata repentina ed i minuti di notorietà sono stati molti più di 15. Sbucata fuori dal nulla, a diciassette anni è già tra le top 25 e, nell’arco della stagione 1993, può sfoggiare il terzo turno sia agli Australian Open che a Wimbledon, i quarti ad Indian Wells, gli ottavi agli US Open; nonché il primo titolo WTA, agguantato a Lucerna. L’anno dopo Lindsay non solo conferma il successo sul suolo svizzero, ma raggiunge i quarti di finale prima a Melbourne poi a Wimbledon mentre si spinge fino alla semifinale a Indian Wells ed a Miami.
Il suo tennis lascia poco spazio all’immaginazione: Lindsay picchia duro, sempre e comunque. Tutto sommato non ha scelta: la potenza non le manca, la mobilità però sì. Messe da parte fronzoli e fantasia la Davenport fa del pressing la sua forza ed il suo limite. Dopo la vittoria sulla terra rossa di Strasburgo, nel 1995 la yankee entra in un “periodo no” che si prolunga fino al febbraio dell’anno successivo quando svetta ad Oklahoma City, Indian Wells e Amelia Island. L’americana perde però ben presto la misura delle sue mazzate e le prestazioni altalenanti tornano a bussare alla sua porta tanto che, dopo un apatico Roland Garros, a Wimbledon inciampa al secondo round. Lindsay riprende fiducia a Los Angeles, dove batte Martina Hingis prima di farsi sbattere la porta in faccia da Monica Seles. Appesasi al collo la Medaglia d’oro alle Olimpiadi di Atlanta, si appresta ad una serie di sfide che la vedono opposta a Martina Hingis.
Per vendicare le sconfitte subite per mano dell’elvetica in semifinale agli US Open 1996 ed in finale a Philadelphia, Lindsay deve attendere la finale di Tokyo 1998. L’elvetica si rifà ad Indian Wells ma, dopo di che, la yankee diventa inarrestabile e, dopo aver dominato la stagione estiva su cemento dove s’intasca San Diego, Stanford e Los Angeles; il 13 settembre 1998 conquista gli US Open. Seppure Martina si vendica al Master, Lindsay Davenport chiude la stagione come numero uno del mondo.
La forma smagliante espressa nelle stagioni 1999-2000, oltre a vederla vincitrice in undici tornei, le permette di riporre in bacheca un titolo a Wimbledon ed uno agli Australian Open. Le cose continuano ad andarle bene anche nel 2001 dove raggiunge almeno i quarti di finale nei 17 eventi da lei disputati vincendone sette. Una catena di infortuni tradiscono l’americana nel 2002. Costretta a rinunciare una volta per un motivo, una volta per un altro, ai primi tre tornei del Grande Slam, Lindsay torna in campo solo a luglio, in occasione del torneo di Stanford, dove cede in semifinale a Kim Clijsters. Dopo un 2003 ballerino, impreziosito comunque da una vittoria a Tokyo, altre quattro finali disputate e una semifinale agli US Open; nel 2004 la Davenport torna a fare la voce grossa in ben sette tornei e, seppur senza Slam il ranking la premia ridonandole la prima piazza.
Dal 6-0 6-0 inflitto a Maria Sharapova nel marzo 2005 ad Indian Wells, alla maratona stretta in pugno ai danni di Amelie Mauresmo, in semifinale a Wimbledon, all’ultimo atto andato di scena sul Centre Court dove la Davenport ha servito per il match sul 6-4 6–5 ed ha sprecato un match point sul 5–4 nel terzo set, prima di inchinarsi 9–7 a Venus Williams; l’americana riesce a presentarsi agli US Open come prima testa di serie. La sconfitta rimediata ai quarti contro Elena Dementieva, la priva della leadership che comunque si riprende grazie alle vittorie conseguite a Filderstad, Bali e Zurigo.
Diventata da ormai due anni moglie di Jon Leach, fratello del tennista Rick Leach, nel 2006, una Davenport sempre più menomata dagli acciacchi decide di diventare madre ed il Circus se la vede sottrarre fino al luglio 2007. Quando torna “Mamma Lindsay” sembra essere sulla strada giusta per tornare quella di un tempo e i due successi afferrati a Bali e Quebec City fanno da battistrada ai trionfi di Auckland e Memphis. In realtà, sul cemento di casa, si consuma il canto del cigno di una Davenport tradita dal ginocchio destro che finisce con lo scombinarle tutta la stagione. Tra sconfitte e forfait, poco prima degli Australian Open 2009 l’ormai ex numero uno del mondo apprende di essere incinta del secondo figlio ed annuncia il proprio ritiro dal tennis agonistico.
Di pargoli la statunitense ne ha adesso quattro e, restando nel campo dei numeri, di tutto rispetto sono anche quelli che scandiscono la sua carriera. 55 titoli WTA tra cui 3 prove del Grande Slam (US Open 1998, Wimbledon 1999, Australian Open 2000) e una Medaglia d’oro alle Olimpiadi. Altri 38 tornei sono arrivati in doppio e se agli Australian Open ha dovuto accontentarsi di sei finali, negli altri Slam ha potuto contare su una vittoria per ognuno. Ci sono poi tre Fed Cup, una Hopman Cup e una prima posizione sia in singolare che in doppio. Non c’è che dire: sono numeri da Hall of fame.