Novak Djokovic ha avuto bisogno di appena tre set (6-2, 6-2, 7-6 (3)) per fare fuori un stanco Kevin Anderson e conquistare il suo quarto titolo a Wimbledon.
DUE ANNI DI INFERNO. Alla luce dei recenti risultati dell’ex numero uno del mondo, questa, appare come un impresa davvero incredibile, sicuramente, impensabile ed imprevedibile per la maggior parte degli appassionati di questo sport. Da più di due anni, da quando nel maggio 2016, Djokovic, conquistò a Parigi, il suo primo Roland Garros, il serbo tra infortuni, abbracci e cambi di coach appare come l’ombra sbiadita di quel giocatore che tutti abbiano imparato ad apprezzare per la sua tenacia, costanza, precisione, regolarità e determinazione.
Il suo rientro, a differenza di quanto accaduto con Federer e Nadal che pronti via, hanno fatto (anche loro contro ogni pronostico) incetta di slam e master 1000 non è stato subito baciato dal successo. Dopo l’eliminazione agli ottavi di finale degli Australian open per mano del suo clone Hyeon Chung e quella ai quarti del Roland Garros per mano del nostro Cecchinato, Nole ha tuttavia preparato bene la stagione sull’erba, forte anche dei miglioramenti fisici.
WIMBLEDON. Per lui, così, è maturata la vittoria più bella ed indimenticabile. Come disse Goran Ivanisevic: “ora che ho vinto Wimbledon non mi interessa più se perderò o vincerò. Perchè potrò sempre dire di avere vinto Wimbledon. Questo nessuno potrà togliermelo mai!” Il torneo londinese è da sempre il più prestigioso.
Simbolo, esso stesso del gioco del tennis. Complici un pazzo Federer (capace di sprecare un match point e poi perdere contro Kevin Anderson) ed un nervoso Nadal che per un attimo sembrava avere accarezzato la possibilità (due volte due palle break consecutivo al quinto set per il maiorchino contro Djoker) di fare fuori il serbo ed accedere in finale; Nole anche lui quando lo davano per finito ha firmato un altra pagina di storia. Non ha ancora vinto un secondo slam, come i suoi colleghi Fedal, ma…… abbiano gli Us open da assegnare!
AL DI LA DEL BENE E DEL MALE. Se con la vittoria di Wimbleon, Djokovic, ha fatto finalmente pace con la sua carriera sportiva che sembrava preda delle onde con il mare in tempesta, è un’altra la vittoria più grande e più gradita raggiunta dal trentunenne serbo. Dopo le vicissitudini familiari, che avevano portato la moglie, la bellissima Jelena Ristic, sul punto di chiedere il divorzio (si vocifera, infatti, che Nole avesse perso la testa per una star di bollywood) Djokovic ha coronato la sua vittoria londinese con la presenza di tutta la sua famiglia sul Center Court. Un traguardo eccezionale come lui stesso ha sottolineato. E quando diciamo tutta intendiamo anhe il figlio Stefan, di appena tre anni.
Che proprio perchè troppo giovane, i bambini al di sotto dei cinque anni non sono ammessi sugli spalti secondo il rigido cerimoniale di Wimbledon, non ha potuto assistere dagli spalti alla vittoria del papà, ma si è dovuto “accontentare” di salutarlo solo a giochi fatti in occasione della premiazione.
Racconta Djokovic, a proposito di quel momento: “Stefan non era nel Center Court fino al momento in cui stavo camminando per rilasciare un’intervista”, ha detto Djokovic. “Quando lo visto entrare, è stato un attimo. Ma un attimo che porterò per sempre dentro il mio cuore. “
LA FORZA dI STEFAN. Ma il serbo davvero emozionato per il momento speciale, dice di più, aggiungendo che vincere davanti a suo figlio Stefan è stata la motivazione più grande che gli ha permesso di uscire dai momenti più bui.“In realtà, non ne ho parlato, ma è stata una delle motivazioni, se non la più grande, che ho avuto per questo Wimbledon”, ha detto Djokovic. “Da tempo stavo visualizzando e immaginando il momento del suo arrivo sugli spalti, con mia moglie, ed io ed il pubblico. E’ difficile da descrivere.” Ma non solo una motivazione è stato Stefan. Il piccolo, secondo Nole, è anche stato il suo miglior sparring! “È stato il miglior partner di sparring che ho avuto nelle ultime due settimane”, ha detto Djokovic che finalmente rientra in Top 10 dopo il suo successo londinese.
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