Genitori-allenatori, un binomio “esplosivo”

Le dichiarazioni di Lleyton Hewitt a proposito del rapporto di Bernard Tomic con il padre-allenatore, rispolverano un vecchio concetto: la presenza di un genitore nell'entourage di un atleta è spesso più dannosa che vantaggiosa.

Lleyton Hewitt non ha digerito il rifiuto di Bernard Tomic di partecipare alla sfida di Coppa Davis contro la Repubblica Ceca, lui che per la maglia della nazionale ha sempre avuto un attaccamento particolare. L’ex n.1 del mondo dopo aver rimproverato il giovane tennista australiano per il suo scarso amor di patrio, è tornato sull’argomento sottolineando come a parer suo Tomic sia fortemente condizionato dall’ingombrante figura del padre-allenatore: “Io penso che fin quando suo padre gli starà così intorno, lui non potrà avere l’opportunità di esprimere tutto il suo potenziale”.

Le dichiarazioni di Hewitt sollevano un’antica diatriba che affligge da tempo il mondo dello sport: quanto fa bene ad un’atleta avere un genitore per allenatore?

Le casistiche fanno pesare l’ago della bilancia fortemente verso una risposta negativa. In Italia e nel mondo tennis abbiamo l’esempio di Camila Giorgi il cui padre è anche il suo allenatore. La ragazza di macerata ha lasciato la Fed Cup ed è in rotta con la federazione italiana, con il padre Sergio sempre in collisione con i vertici federali.

Sergio Palmieri disse a riguardo: “Camila è vittima di un padre invadente che la esaspera, così rinuncia a crescere”. I fatti danno ragione a Palmieri, Camila non è riuscita ancora a fare quel salto di qualità degno del suo talento, imprigionata in difetti tecnico-tattici che un buon allenatore potrebbe curare. Ma il papà della Giorgi, che a tennis non ha mai giocato, sembra essere sordo ai consigli del movimento convinto di fare il meglio per la figlia, un meglio che ancora non ha dato i suoi frutti.

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Camila e Sergio Giorgi

Una forte testimonianza a riguardo è quella dell’ex n.1 del mondo Andre Agassi, il quale parlò in prima persona delle torture psicologiche subite da piccolo dal papà, che voleva fare di un lui un campionissimo.

Agassi un campione alla fine lo è diventato ma secondo le statistiche riguardanti il mondo del calcio solo uno su cinquemila arriva a giocare sino in Serie A.

Genitori che vogliono che i figli diventino dei fenomeni a tutti costi, spesso per colmare i propri fallimenti di gioventù ed ottenendo di conseguenza risultati opposti.

In tanti ricordano il bruttissimo episodio che vide protagonista la nuotatrice ucraina Kateryna Zubkova, la quale ai mondiali di nuoto nel 2007 fu picchiata ed insultata dal padre per non essersi qualificata alla fase finale delle gare. Il tutto fu ripreso dalle telecamere delle tv locali (eravamo in Australia a Melbourne) ed il padre della nuotatrice fu messo sotto indagine e diffidato dalla polizia ad avvicinarsi alla figlia.

L’unico binomio vincente tra atleta e genitore-allenatore resta quello tra Tania Cagnotto e papà Giorgio ex campione di tuffi, che l’ha seguita come coach in tutta la sua carriera. Forse, come sottolineato dalla stessa Tania, a giocare a suo favore è stato il fatto che il padre non volesse per lei un vita nel mondo dei tuffi ma al contrario da bambina fece di tutto per indirizzarla verso altri sport.

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Giorgio e Tania Cagnotto: un buon esempio

 

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