Cinque luglio 1980. Londra, Centre Court. Finale del singolo maschile di Wimbledon. Björn Borg contro John McEnroe. La freddezza svedese contro la frenesia newyorkese. Il ghiaccio contro il fuoco. Il quattro volte campione, la macchina, l’invincibile contro il ragazzo di puro talento, il ribelle, l’irrefrenabile. Una partita che segnò inesorabilmente la storia del tennis, una partita che determinò una delle più alte e irraggiungibili vette della rivalità sportiva.
Quattordici luglio 2019. Londra, Centre Court. Finale del singolo maschile di Wimbledon. Novak Đoković contro Roger Federer. La tenacia serba contro la classe svizzera. Il valoroso guerriero contro l’acclamato sovrano. La brama di successo contro l’insaziabile fame di vittoria. Stessa partita, stesso campo. Due straordinari campioni ad affrontarsi. Due partite estenuanti, infinite, sofferte. Due partite giocate a livelli incredibili da uomini divenuti eroi. Una fondamentale differenza, però, divide le due sfide: la rivalità. Una parola semplice, chiara, diretta, che riassume esaustivamente il senso profondo di ogni sport e soprattutto di ogni grande sfida. Gli scontri più appassionati e appassionanti nascono sempre da una grande rivalità, sana e rispettosa, ma comunque accesa e incandescente.
In uno sport singolo come il tennis la rivalità è un elemento imprescindibile, ma ne esistono di vari livelli: quella tra Borg e McEnroe fu epocale e indimenticabile; un tremendo vortice di adrenalina, cattiveria agonistica, tensione, nervosismo, fame di supremazia… Un fuoco ardente di passione, in campo ma anche sugli spalti. Due uomini e due atleti così diversi tra loro da riuscire a dar vita non solo ad una rivalità tennistica ma ad una vera e propria contesa etico-sportiva diventata emblema del dualismo nello sport e nella vita. Borg e McEnroe valicarono i confini del campo da tennis per ritrovarsi investiti del ruolo di simboli, metafore viventi di due opposte filosofie di vita. Questo consegnò la loro rivalità alla storia non solo come scontro tra due campioni per la vittoria di un titolo, ma più profondamente come una battaglia di valori, di identità, una lotta con se stessi e con il mondo, uno scontro tra eroi omerici, quasi incomprensibile per noi comuni mortali. Lo stesso non possiamo dire della rivalità tra Đoković e Federer che, se pur spettacolare, avvincente e accanita, non assurge a nulla di simbolicamente oltre-sportivo.
Quando allora una rivalità sportiva diventa leggenda? Memoria collettiva di fedeli appassionati che ne tramandano le gesta, schierandosi fermamente da una sola fazione, ma riconoscendo l’importanza di entrambe. Quando? Esiste una formula? Nella storia dello sport, e in particolare del tennis, le grandi rivalità non sono certo mancate. Ne vedremo solo alcune. La più attuale e, forse, anche una delle più spettacolari e avvincenti di sempre è quella tra Rafael Nadal e Roger Federer. La furia di Manacor e il maestro di Basilea si sono affrontati ben 40 volte, dividendo il mondo in due schieramenti di irriducibili sostenitori.
Questa rivalità ha sicuramente lasciato un segno indelebile nell’ultimo decennio e le loro sfide continuano ad affascinare e ad essere l’epicentro dell’interesse rivolto al mondo del tennis. E il motivo non è difficile da capire: anche Federer e Nadal valicano i confini del rettangolo di gioco e diventano icone, simboli, modelli. Da una parte la straordinaria classe dell’elvetico, la precisione, l’inventiva, il tocco pulito, stilisticamente perfetto, l’estro, l’eleganza e la correttezza; dall’altra lo strapotere fisico dello spagnolo, la forza bruta, il furore, l’aggressività, l’intelligenza. Uno spettacolo raro. Due giocatori meravigliosi, due atleti eccezionali, due fenomeni, ma soprattutto due uomini.
È questo che ce ne ha fatto innamorare: dietro all’invincibilità, alla determinazione e alla forza del tennista si nasconde la fragilità e il cuore pulsante di due uomini comuni, arrivati però a toccare vette irraggiungibili. Le loro differenze hanno reso magica questa rivalità e tutti noi ci siamo schierati al fianco dell’uno e dall’altro, al fianco di quello più vicino a noi e ai nostri ideali, ma sempre nel pieno rispetto e nel totale godimento della grandezza di entrambi. Federer contro Nadal non sarà mai una partita come le altre, perché è una sfida che ormai appartiene già al mito. E non sono certo i numeri a fare la differenza: il numero di incontri tra due giocatori non è proporzionale al livello di rivalità. È un dato significativo ma non vincolante. Basandoci solo sui numeri la più grande rivalità della storia del tennis maschile sarebbe quella tra Novak Đoković e Rafael Nadal, antagonisti in ben 54 match (28 in favore del serbo e 26 dello spagnolo), e quella tra Borg e McEnroe, invece, non entrerebbe nemmeno nella top 10, con 14 “miseri” incontri (in perfetto equilibrio, 7-7). In questo caso è dunque evidente che non possiamo fidarci dei numeri, stiamo parlando di qualcosa di molto più profondo, probabilmente incalcolabile. Perché quelle tra Đoković e Nadal o tra Đoković e Federer (ben 49 match) sono rivalità sicuramente molto sentite e sportivamente molto combattute e affascinanti, simbolo di questa generazione tennistica, ma resteranno scolpite nel mito di questo sport? Probabilmente sì, ma in misura differente, e penso che il motivo non sia da cercare solo nel tennis, perché Đoković ovviamente è un giocatore formidabile, ma forse questo non basta. Per diventare leggenda nell’immaginario collettivo (non solo dunque tra gli esperti e gli appassionati) bisogna rappresentare qualcosa di più di un fuoriclasse, e non esiste una formula per farlo, non basta vincere tutto o diventare il più forte, bisogna conquistare l’anima delle persone, trasmettere qualcosa, lasciare un solco profondo, e solo in pochi sono riusciti a farlo. Đoković come giocatore è ad un passo da loro, ma come icona è ancora lontano.
Andando più indietro nel tempo non si fatica ad individuare emblematiche rivalità divenute celebri per la grande carica emotiva che le accompagnava. Negli anni Novanta si davano battaglia sul campo da tennis due grandi campioni come Andre Agassi e Pete Sampras, che combattevano per gli stessi colori, quelli della bandiera degli Usa. Due uomini molto diversi e due stili di gioco agli antipodi: uno, Andre, più eccentrico, appariscente, simpatico, personaggio amato e chiacchierato, giocatore di anticipo, travolgente, rapido e fastidioso; l’altro, Pete, dal carattere chiuso, meno brillante e concentrato solo sul tennis, dotato di una tecnica e un’efficacia impressionanti, giocatore d’attacco, lottatore forte e infaticabile. Duellarono per 34 volte di cui 5 in una finale Slam. Il bilancio tende nettamente in favore di Pete (20 a 14) che si aggiudicò anche quattro di quelle agguerrite finali.
Non possiamo non parlare poi di quella tra altri due statunitensi: Jimmy Connors e John McEnroe, così lontani ma in realtà così vicini. Lontani perché giocavano in modo diverso, con stili molto caratteristici e per questo spettacolari da vedere contrapposti; Connors instancabile, potente, grintoso, cattivo, micidiale… McEnroe più raffinato nel tocco, nella sensibilità, nel colpo di genio, però meno dedito al sacrificio. Vicini perché entrambi nervosi, indemoniati, presuntuosi, due caratteri difficili, spesso antipatici. Due giocatori che in campo lasciavano tutto, a volte anche troppo. Due tennisti pazzeschi; due uomini che non si amarono mai particolarmente, e questo di certo acuì l’interesse per la loro rivalità. L’antipatia reciproca rafforza le distanze e infiamma gli animi. Ma possiamo parlare di leggenda per Agassi-Sampras o Connors-McEnroe? Probabilmente sì anche per loro, perché in entrambi i casi possiamo parlare di antitesi, la figura retorica dell’opposizione e del contrasto insanabile, ed è proprio l’antitesi a sublimare una rivalità e a renderla immortale, e il tennis avrà sempre bisogno di intramontabili leggende da tramandare, nella speranza di non smettere mai di scriverne di nuove.
P.S: la più grande rivalità di uno sport individuale di tutti i tempi è proprio una memorabile pagina della storia del tennis, in questo caso femminile, ed è quella tra la statunitense Chris Evert e la cecoslovacca (naturalizzata statunitense) Martina Navrátilová. La loro rivalità divenne presto leggendaria: si sfidarono addirittura in 80 incontri a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Le finali furono ben 60 e, di queste, 14 in uno Slam, di cui 10 vinte dalla Navrátilová (in totale vinse 43 match). Beh, in questo caso… i numeri contano eccome!
Christian Cavagna