Traduzione di Michele Alinovi
Oggi molto probabilmente Johanna Konta è l’atleta più interessante del panorama sportivo britannico. Nata in Australia da una famiglia di immigrati ungheresi, da sei anni vive in Inghilterra, a Eastbourne. Un percorso un po’ tortuoso, il suo, che da un po’ di tempo ha lasciato il posto alla serena vita nel circuito Wta, nel quale occupa ormai stabilmente la top-20 nella classifica delle migliori tenniste al mondo.
All’inizio del 2015 la Konta era n. 150 del ranking, ma ora – specie dopo aver raggiunto la sua prima semifinale Slam agli Australian Open 2016 – esordirà nel prossimo torneo di Wimbledon da top-player. Johanna, che ora è n. 18 del mondo, ha un metodo di lavoro profondamente interessante per potenziare al massimo la propria forza mentale. Lavora duramente per allontanare ogni pensiero negativo e fa di tutto per rimanere in ogni momento nel presente, cercando di non soffermarsi nel passato o perder tempo meditando sul futuro. La sua strategia, volta al raggiungimento di una serena neutralità, evitando di essere travolta troppo dalle emozioni dopo una vittoria o una sconfitta, è un’ottima tecnica che ha sviluppato insieme al suo coach spagnolo, Esteban Carril, e il suo psicologo sportivo, Juan Coto.
E spiega come la Konta sia così diversa dal connazionale Andy Murray, che mostra sempre le sue emozioni positivi e negativi a seconda dei momenti, spesso traendo energia dal sostegno del pubblico. “Io lavoro in modo diverso”, ammette la Konta. “Mi piace creare uno spazio di sicurezza intorno a me e non entusiasmarmi troppo o non deprimermi, a seconda dei casi. Certo, cerco sempre di fare meglio – non solo come tennista, ma anche come persona, per quanto riguarda le nuove esperienze. Mi piace immaginarmi come… non so, un muro. Ogni giorno cerco di aggiungere mattoni per costruire un muro, o una casetta”. Johanna ama gli scherzi, ride sempre molto ed è di buona compagnia; infine è molto umile, abbastanza da rivelare che la base del suo metodo è l’accettazione, la consapevolezza che può “vincere sé stessa agendo da dentro”. Il suo mantra, la calma positività che si impone sempre di assumere, non deve essere quindi scambiata per un atteggiamento da robot.
Quando le si fa notare che ha perso al primo turno nelle ultime quattro edizioni di Wimbledon, lei risponde: “Sì, in singolo. Ho vinto tante partite in doppio. Ho sempre raggiunto la seconda settimana in doppio negli ultimi anni, perfino nel doppio misto. Curioso, no?”. Konta inizia a ridere, accarezzata dal sole pallido di Eastborune in una serena domenica mattina. “Onestamente non penso a queste sconfitte. Nel 2012 contro Christina McHale ho perso 10-8 al terzo, e lei era testa di serie. L’anno dopo ho giocato contro la Jankovic, nel 2014 contro Shuai Peng, che ha poi raggiunto le semifinali agli Us Open. L’anno scorso ho affrontato Maria Sharapova. Insomma, ho giocato sempre con ottime giocatrici e quest’anno potrebbe accadere ancora. Comunque sia, farò del mio meglio, vediamo cosa succederà…”.
Voglio capire meglio da lei come ha raggiunto il suo punto di vista psicologico nell’affrontare i match. Il suo passato è poco conosciuto, ma su di una cosa bisogna porre l’attenzione: ancora teenager ha lasciato l’Australia per allenarsi in Spagna, presso l’Accademia Sánchez-Casal, frequentata anche da Murray. “Arrivai a Barcellona a 14 anni. Dopo essere partita non ho visto mia madre per sei mesi, mio padre per quattro. L’Australia è lontanissima dalla Spagna; non mi ricordo se allora i giorni mi sembravano molto lunghi o molto corti. Credo che per loro la cosa più difficile per i miei genitori è stato rendersi conto che, se fosse accaduto qualcosa di male, non avrebbero potuto dirmi: Ok, saremo lì tra un paio d’ore. I voli costavano migliaia di dollari, e comunque – anche se fossero partiti immediatamente – ci avrebbero messo 26 ore di volo per raggiungermi”.
Com’è riuscita la 14enne Johanna a resistere senza la presenza dei genitori? “Allora non c’era nemmeno Skype. Ricordo quel piccolo telefono a pagamento nella reception della sede principale del club: a una precisa ora del giorno alzavo la cornetta e li chiamavo. Non ricordo molto altro di quei mesi, è curioso. Forse perché è stato un periodo traumatico? Forse farò ipnositerapia per scoprire come mi sentivo!”. Konta ride ancora, poi spiega che nel 2005 i suoi genitori decisero di lasciare la loro casa di Sydney per starle vicino. “All’inizio ci trasferimmo nell’East London”, ricorda Johanna. Nelle grigie giornate d’inverno, i Docklands probabilmente sembrano deprimenti per chiunque è abituato al sole di Sydney. “Effettivamente… Però è tutta esperienza”. Johanna ha frequentato la scuola nell’East London? “No, studiavo a casa, ho iniziato da privatista a 12 anni: a 11 anni feci il mio ultimo giorno di scuola. Andavo alla scuola Steiner di Sydney, e uno dei miei ricordi più belli legati a quel periodo era la sua location: si trovava in mezzo a una specie di foresta, eravamo immersi nella natura. Lì imparai ad amare lo studio e i libri, e non penso che molte persone abbiano avuto questa fortuna. Mi hanno anche insegnato cose pratiche, come lavorare a maglia e a uncinetto”.
Si sentiva sola a studiare a casa? “Molto, finché stavo da sola: ero lontana anche dai miei genitori. In quegli anni ho imparato tutta da sola, in sostanza. Ma l’ho fatto bene, forse perché avevo proprio il desidero di conoscere le cose: amavo la matematica e la storia”. Una simile dedizione è senza dubbio peculiare per una ragazzina. Ha mai pensato di lasciare il tennis e la vita solitaria che comporta? “Gioco a tennis da 17 anni, e ne ho solo 25. Sì, è ovvio che ho passato fasi in cui ho odiato il tennis e il modo in cui regolava ogni aspetto della tua vita. Ma se davvero hai passione per questo sport, impari a superare questi momenti. Altrimenti, ti rendi conto che non fa per te”. Questi 17 anni di carriera dimostrano, concretamente, quanti sacrifici ha fatto, sin dall’età di otto anni, per raggiungere il suo attuale livello, evidenziato con il raggiungimento delle semifinali in Australia e gli ottavi agli Us Open 2015, quando sconfisse la finalista di Wimbledon (e di recente campionessa al Roland Garros) Garbine Muguruza, al termine di un match epico durato 3 ore e mezza.
Molta gente le ha chiesto se il risultato a New York è stato un punto di svolta, senza rendersi conto che “la svolta”, Johanna, la sta portando avanti da anni. “Esattamente: 17 anni di lavoro, di fatiche, di perfezionamento continuo. Devi affrontare un sacco di battaglie, molte delle quali sono contro te stessa. Io interiorizzo alcune cose e mi batto da sola, da dentro. Da adolescente era davvero dura conciliare la propria vita: era solo mangiare, dormire, giocare a tennis”. Con gli anni Konta ha imparato ad essere più consapevole, cercando di diventare una persona con un maggiore equilibrio, capace di gestire le lotte interiori e le emozioni negative. “Ho capito che il segreto è fare del mio meglio, non importa dove sono. Se lavori duramente ma poi ti lasci deprimere dalla delusione per le sconfitte, agisci in modo autodistruttivo. Puoi farti del male. Devi saper controllarti, devi sforzarti di rimanere la migliore amica di te stessa”. A volte sembra che stia citando un qualche manuale di cresciuta personale; il tono però non è affatto pedante, ma sempre divertente e piacevole. Johanna è rimasta molto umile nella sua scelta di prendere solo voli economici e non spendere soldi per auto di lusso. Inoltre è una delle tenniste più amate tra le colleghe perché, in un clima spesso rigoroso e competitivo, mantiene sempre il suo buon umore.
Quando le chiedo se è vero che il suo fidanzato Kether Clouder è anche il suo hitting partner, lei ride di nuovo: “No, no, era solo uno scherzo”, dice, riferendosi a una sua dichiarazione che fece ai media agli scorsi Australian Open, quando disse che il suo fidanzato poteva essere il suo hitting partner. “Gli atleti spesso hanno un team di professionisti con titoli differenti: coach, fisio, trainer… e quando sono andato a Melbourne c’era una categoria chiamata ‘hitting partner’. Ho pensato: Non sarebbe divertente se lo definissi ‘hitting partner’?”. Konta si diverte nei momenti fuori dal campo, ma si ritaglia momenti per studiare? “Mi piacerebbe frequentare l’Università. Ora sto imparando molto sulle tasse e sulle imprese”. “Roba interessante”, dico con un sospiro. “A me interessa molto! Spesso mi faccio spiegare delle cose dal mio contabile.
Ho appena creato una compagnia, Johanna Konta Ltd. All’inizio non ci capivo nulla di tutte le carte, ed ero diffidente. Dicevo: Cos’è? Si prendono tutti i miei soldi. Tecnicamente son il Ceo dell’impresa, e ricopro tutte le altre cariche”. Questo mese Johanna è stata premiata come la Sportiva dell’anno dal magazine inglese Glamour. “Sono stata contenta di questo premio, quando l’ho saputo ci è voluta mezz’ora per ritrovare la lucidità. Per la prima volta sono stata premiata in una serata di gala. Non ricordo cos’ho detto durante la premiazione, ma ricordo che tutti hanno riso. Ero così entusiasta e nervosa. Non avrei mai immaginato di ricevere un premio con i tacchi!”. La fama però, a volte può essere dannosa.
Lo scorso febbraio Johanna è apparsa nello show inglese condotto da Jonanthan Ross. “Johanna Konta critica Jonathan Ross per le sue domande ‘noiose’ in una ‘gelida’ apparizione in Tv”, ha scritto il Daily Mail, mentre alcuni giornali hanno insinuato che alcune parti dell’intervista, in cui Johanna era più ‘agguerrita’, erano state rimosse. “Sono stata più volte attaccata dalla stampa per il mio tennis, ma mai a livello personale. Ero davvero triste. Stavo andando verso l’aeroporto con mia mamma e il mio fidanzato. Mi hanno fatto leggere l’articolo e mi sono messa a piangere”. Cos’era successo davvero quella volta? “Jonathan e Rob Brydon stavano chiacchierando a lungo e io non avevo ancora detto una parola. Ho detto quello che ho detto per scherzo e anche John l’ha capito. Solo dopo mi sono detta: Mio Dio, cos’è successo? Pensavo che le cose fossero andate tutto bene. Ma Jonathan era molto grazioso.
“Devo solo lavorare bene e mantenere il mio livello, ma soprattutto essere gentile e buona con me stessa, perché è facile assumere su di sé le aspettative degli altri. Ma le vittorie o le sconfitte non devono intaccare i miei valori più profondi: è questa la cosa più importante”. Ora Konta non deve più faticare per qualificarsi nei tornei principali, adesso è una top-player, con tutti i suoi vantaggi. “E’ interessante come funziona, no? Più vai in alto, più guadagni e hai meno bisogno di aiuto. Ma ti ricordi molto bene di tutti i debiti e i sacrifici che hai dovuto fare all’inizio. Per questo bisogna godersi il cambiamento e non prendere nulla per scontato”.