Oggi raggiunge il 31imo anno di vita uno dei tennisti più controversi dell’ultima decade: il tedesco Philipp Petzschner.
Nato a Bayreuth, amena cittadina bavarese, Philipp familiarizza con la propria predestinazione fin dalla più tenera età. Il padre, proprietario di una scuola tennis, pone fine alla sua dipendenza da biberon all’età di 4 anni, consegnandogli quello che diverrà il suo unico utensile lavorativo, la racchetta.
Divenuto professionista all’età di 18 anni, Petzschner deve la sua formazione tennistica a Stefan Edberg e Goran Ivanisevic. Idoli adolescenziali la cui influenza si limiterà agli aspetti tecnici, per quanto riguarda lo svedese, mentre dal croato trarrà tutto l’eccentrico bagaglio comportamentale.
La bipolarità del bavarese si manifesta fin dagli esordi, scegliendo di condurre parallelamente sia la carriera da singolarista che quella da doppista. Dotato di due fondamentali potenti ed incisivi, servizio e dritto, oltre ad un rovescio slice talmente esasperato da suscitare curiosità, ammirazione e, in alcuni casi, nausea e vertigini. Poco incline agli scambi da fondo campo, ben presto il tedesco sceglierà la rete come suo domicilio preferito, zona in cui dimostra di poter esibire tutto il proprio talento.
Il primo, ed al momento unico, successo nella sua carriera individuale è quello conseguito nel torneo di Vienna del 2008. Partito dalle qualificazioni, riuscì ad avere la meglio in finale dell’allora giovanissimo Gael Monfils. Raggiungerà il suo best ranking nel Settembre del 2009, occupando la 35ima posizione.
Ma non è grazie a questo che il virtuoso Philipp assapora la gloria. Gli autentici fasti della sua carriera sono legati al tanto vituperato doppio, grazie al quale riuscirà a costruirsi una solida reputazione, oltre a garantirsi una rassicurante pensione.
Coadiuvato dall’austriaco Jurgen Melzer, Petzschner può vantare ben due titoli del Grande Slam. Il primo conseguito nel 2010 sull’erba di Wimbledon, il secondo un anno più tardi agli US Open.
L’affermazione in terra statunitense fu però parzialmente offuscata da un episodio di smaccata antisportività a lui riconducibile. Nel corso del quinto gioco del secondo set negò, in mondovisione, di aver colpito la palla con lo stinco anzichè con la racchetta. Invitato dagli avversari ad ammettere il dolo il tedesco ostentò indifferenza, salvo essere sbugiardato subito dopo dagli impietosi replay televisivi.
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Il teutonico rappresenta lo spartiacque ideale per suddividire in due sezioni ben distinte gli appassionati del gioco: da una parte i surrealisti, sostenitori dell’importanza del sogno e della negazione della ragione quale unico strumento conoscitivo, dall’altra i realisti, pragmatici analisti, propensi a valutare gli eventi nella loro inconfutabile concretezza.
Giunto all’inesorabile crepuscolo agonistico, Philipp viene ancora ricordato, citato ed evocato. Difficile comprendere cosa spinga i suoi fedeli a persistere in questa mitizzazione postuma. Quel che è certo è che, a torto o a ragione, Petzschner è riuscito laddove molti più titolati colleghi hanno fallito.