Valori e sport verso una progressiva dissociazione?

LA NASCITA DELLA CULTURA DELLO SPORT – Storicamente, da quando abbiamo notizie certe delle prime manifestazioni sportive, l’atleta “professionista” è sempre stato visto come un modello di agonismo e abnegazione nell’ottica del raggiungimento di primati che garantissero la gloria eterna. Con l’evoluzione delle varie discipline, nelle culture greche e romane, lo spirito agonistico viene ben presto considerato come una componente centrale dell’essere umano, che deve dedicarsi all’attività fisica non per meri fini estetici, bensì per conseguire la massima esaltazione della volontà in ordine agli scopi finali. Già durante le prime Olimpiadi, il classico motto “l’importante non è vincere, ma partecipare”, viene tramutato nell’esatto opposto, in cui l’affermazione al vertice diventa il fine centrale dell’attività stessa.

IL CRESCENTE RUOLO DEL DENARO – L’evoluzione continua delle tecniche e della tecnologia, nella quasi totalità degli sport, è andata di pari passo con un aumento importante del fattore economico, sempre più essenziale per il raggiungimento del successo. In un’ottica prettamente materialistica, il denaro è passato da mezzo a fine dell’intera carriera dell’atleta, come per certi versi è giusto che sia; ciò non giustifica però l’esclusività dello scopo di lucro da parte degli atleti, i quali sovente dimenticano di costituire (quantomeno teoricamente) dei modelli per intere generazioni di ragazzi. Il professionista, oltre che essere tale nell’organizzazione della propria attività, assume una responsabilità esterna che si estrinseca nelle proprie condotte verso il pubblico, sia all’interno del campo che fuori.

IL CASO TOMIC – Arrivano così, come un fulmine a ciel sereno, le dichiarazioni recentissime di Bernard Tomic, considerato da anni uno dei talenti più brillanti del tennis moderno. L’australiano si trova attualmente alla posizione numero 73 del ranking ATP, senza aver mai particolarmente brillato per costanza ed impegno. Ciò la dice lunga sulle reali possibilità del ragazzo il quale, dopo una condotta pessima durante Wimbledon, sia nei confronti del pubblico che dei giornalisti (sanzionata con una multa da 20.000 dollari), si è lasciato andare ad ulteriori dichiarazioni sintomatiche delle sue idee: “Credo che tutta la mia esperienza come professionista si sia basata su uno sforzo del 50%, non ho mai provato a dare di più per ottenere tutto questo. Quindi è semplicemente fantastico quello che ho fatto: per me è un lavoro. Chi non vorrebbe lavorare come professionista in uno dei principali sport a livello mondiale e guadagnare milioni di dollari impegnandosi solamente al 50-60%? Credo che chiunque vorrebbe accetterebbe una situazione simile”. Gli ambasciatori dello sport australiano si sono rivoltati di fronte a simili parole, censurando completamente tali esternazioni. Ciò induce ad espandere la riflessione alla radice, cercando di combattere il problema ex ante, insegnando ai ragazzi la cultura dello sport e del sacrificio. Non è questo ovviamente l’unico caso: basti pensare al connazionale Nick Kyrgios, solo di recente apparso più centrato (anche se vi sono ancora episodi discutibili) dopo un passato decisamente sregolato.

Una delle tante bravate dell’australiano.

UN FENOMENO UNIVERSALE – Si tratta comunque di un fenomeno che non ha investito solo il tennis. Il calcio è colmo di illustri esempi, soprattutto negli ultimi anni in cui la mole di denaro in circolo è sempre crescente a causa di investimenti provenienti dall’estero. E lascia piuttosto interdetti assistere al trasferimento di calciatori verso la Cina o gli States per somme faraoniche, magari anche in giovane età, mettendo così da parte una carriera ad alti livelli nei campionati di prima fascia. Sono tanti i casi di professionisti che antepongono in modo netto il denaro al successo ed alle prospettive di carriera, pur godendo di benefici economici già rilevanti.

ESEMPI BRILLANTI – Per fortuna, ritornando al tennis, vi sono anche situazioni opposte. Ed in tal senso, oltre che per le loro vittorie, vanno esaltati e lodati all’infinito due fenomeni come Federer e Nadal che, dopo aver conquistato di tutto e di più, viaggiano spediti verso altri record, fondando il loro percorso su una forza di volontà spaventosa, corroborata da umiltà e spirito di sacrificio. Se l’elvetico a 36 anni dimostra al mondo intero di poter progredire lavorando tanto e costantemente, perché non dovrebbe farlo un ragazzo che si affaccia al mondo del professionismo? Per spostare l’ottica dai primissimi del mondo, basti pensare al nostro immenso Paolo Lorenzi, che ha raggiunto da poco i suo best ranking, estraendo il massimo da un talento non esattamente brillante. La cultura del lavoro andrebbe insegnata e inculcata ai giovani atleti. Come sosteneva un illustre commentatore di tennis, un ragazzo che vuole ambire a diventare un campione sui campetti di tutto il mondo, deve necessariamente possedere in camera un poster di David Ferrer, ricordando il messaggio forte che da esso promana.

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Luca Sassone

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