Gilbert Hunt: il genio ribelle

Genio e sregolatezza diremmo oggi se avessimo di fronte il professor Gilbert Hunt, un tennista che tra gli anni 30 e 40 fece molto parlare di se.

La storia del tennista scienziato Gilbert Hunt, illustre studioso della teoria della probabilità e giocatore prodigio.
Genio e sregolatezza diremmo oggi se avessimo di fronte il professor Gilbert Hunt, un tennista che tra gli anni 30 e 40 fece molto parlare di se. Due volte numero uno junior del ranking nazionale, Hunt fu un talento precoce e sebbene dedicò tutta la sua vita alla matematica, il tennis rimase la grande passione.

gilbert hunt - tennis circus
La sua carriera sportiva si svolse negli anni ’30 e ’40, arco di tempo in cui i riuscì a raggiungere per due volte i quarti di finale nel singolare agli US Open: nell’edizione del 1938, quando sconfisse Bobby Riggs ma fu poi fermato da Gene Mako, e nell’edizione 1939, quando fu battuto da John Bromwich. Nel 1941, durante la seconda guerra mondiale, fu arruolato nell’Esercito americano, nel quale fu addestrato per contribuire alle previsioni del tempo atmosferico: come matematico, diede un contributo allo sviluppo di modelli di previsione meteorologica finalizzati ad agevolare lo sbarco in Normandia degli Alleati in occasione del D-Day. Studioso del processo di Markov secondo cui “Le tue chance di vittoria non dipendono da quante volte hai perso in passato e la conoscenza del passato non dà maggiori informazioni sul futuro di quanto non ne dia quella del presente”. Hunt viene anche ricordato per le sue bizzarrie.

hunt

Durante i match non smetteva mai di parlare con se stesso, e a volte nel bel mezzo di un incontro si toglieva le scarpe ed iniziava a giocare scalzo, spesso indossando un cappello di paglia da contadino in testa. E se non stava giocando bene o se magari faceva troppo caldo, se ne usciva semplicemente dal campo. Negli anni sessanta, quando era all’acme della sua creatività matematica, si scoprì affetto da degenerazione maculare, una malattia che lo avrebbe portato alla progressiva cecità: la patologia lo costrinse ad abbandonare il tennis e gli rese sempre più difficile la pratica della matematica, che egli continuò sviluppando metodi per potervisi dedicare. E su quanto abbia influito la matematica nella sua vita da giocatore lo racconta Lisa, una delle sua figlie: “Negli ultimi anni, parecchio più tardi di quando smise di giocare, e dopo aver perso la vista, gli piaceva ricordare le strategie dei propri match e i precisi angoli matematici che lo hanno aiutato a farlo diventare con tutta probabilità uno dei migliori tennisti – matematici di Washington”

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