Come è facile supporre, non sempre i tennisti hanno avuto alle loro spalle un team di esperti, preparatori atletici e nutrizionisti pronto a creare il campione a suon di programmi e tabelle. Ad iniziare tale abitudine fu nientedimeno che Martina Navratilova.
Nel pieno del 1981 Martina aveva 24 anni ed era ancora lungi dall’aver già espresso tutto il suo potenziale, avendo all’attivo tre slam vinti su cinque finali disputate e un gran numero di semifinali. Tutto cambiò nella primavera di quell’anno, quando Navratilova, battuta con un doppio 6-0 dalla rivale di sempre Chris Evert ad Amelia Island, conobbe la famosa cestista Nancy Lieberman.
Questa donna sapeva il fatto suo; cresciuta nel Queens e partita dal percorrere di notte la metropolitana per Harlem, dove avrebbe provato canestri su canestri, per poi arrivare al soprannome di “Magic Lady”, si trovò senza contesto sportivo quando la Women Professional Basketball League chiuse i battenti nel 1980. Lieberman iniziò a lavorare con Navratilova, formandola sui concetti di duro allenamento fisico e forte competitività. Per dirla con le parole della Evert, ebbe inizio la campagna “Kill Chris”.
Renée Richards
Il 1982 la svolta ebbe inizio. Qualche mese prima, nel 1981, Martina entrò in contatto con Renée Richards, giocatrice transessuale appena uscita da una -immaginabile- controversia durata anni e anni sulla sua persona. La Richards, che aveva subìto una sconfitta al primo turno agli US Open per mano di Andrea Leand, chiese alla Navratilova se avesse potuto aiutarla nella prosecuzione del torneo. Martina accettò. La Richards, osservando la futura grande campionessa, si accorse di come la ragazza prestasse così poca attenzione all’aspetto tattico del gioco. Quando Navratilova battè Evert in semifinale, Renée venne prontamente ringraziata: “Non so se avrei battuto Chris se lei
Da qui in avanti Martina avrebbe conosciuto un periodo di egemonia impressionante. Nei successivi cinque anni Navratilova avrebbe vinto ben tredici slam, raggiungendo la finale di altri sei. Il picco fu il 1983, quando Martina collezionò un record di 82 vittorie e una sconfitta.
Già negli anni ’70 Borg e Vilas iniziarono a stipendiare dei coach, ma fu Navratilova la prima ad avere al suo seguito un vero e proprio team qualificato e collaudato.
Martina Navratilova con Nancy Lieberman
All’appello manca però il terzo membro del box. Se Lieberman si occupava dell’allenamento fisico e la Richards di tattica e mente, la nutrizione era priorità del nutrizionista professionista Robert Haas. Questo nuovo concetto di tennis non decollò subito, anzi, Martina dovette sorvolare su qualche commento derisorio e velatamente sessista. John McEnroe disse che alla “dieta Haas” preferiva la “dieta Haägen Dazs”. Il tennis, tuttora chiuso in un mito di individualità inaccessibile e coperto da un manto di latente maschilismo, all’epoca era ancora più chiuso e la parola “team” non poteva che sembrare fantascienza.
Tuttavia la storia diede ragione a Martina e già negli anni ’80 e continuativamente negli anni ’90, la preparazione atletica e il concetto di “team” ebbero il sopravvento, a partire da Ivan Lendl, uno dei primi uomini che seguì la strada iniziata da Navratilova.
Ahinoi, il quartetto Lieberman-Richards-Haas-Navratilova venne poi dimenticato, poiché la carriera di Martina conobbe diversi cambi di rotta, ma l’inizio di una grande rivoluzione rimane ancora tra queste quattro mura.
Vittorio Orlini