In cuor suo l’americana aveva già deciso: “Sapevo che non sarei tornata mai più a Wimbledon in quelle vesti e allora mi dissi che non poteva finire in quel modo”. In una sorta di Davide e Golia versione femminile con racchetta e palline, quel pomeriggio dell’Independence Day del 1989, l’italiana Laura Golarsa, 87esima giocatrice mondiale secondo l’ultima classifica stilata dalla Wta, stava rovinando la festa a Chris Evert.
Già, Chris Evert, alla diciannovesima e ultima stagione da professionista nel circuito, per inquadrarne la cui grandezza sarebbe sufficiente uno dei tanti sbalorditivi rilievi statistici: quello contro la milanese era il 52° quarto di finale in un major e il suo record era di 50-1! Un abisso di esperienza tra le due, che andava ben oltre i tredici anni di differenza. Basti pensare che, quando Chris fece il suo debutto agli US Open raggiungendo subito la semifinale (1971), Laura non aveva ancora quattro anni. Aveva, però, la Golarsa già il sangue del tennis che le scorreva nelle vene, ereditato da genitori grandi appassionati della disciplina. E aveva, sempre Laura, un modo di approcciarsi a questa disciplina del tutto insolito se rapportato al suolo natio, ovvero quell’Italia dalla propensione terricola e storicamente assai poco incline ai prati.
Ora, pensare che la Evert all’ultimo giro di giostra fosse una preda arrendevole e poco motivata significa ignorarne tanto lo spessore agonistico quanto, soprattutto, la corazza d’orgoglio con cui intendeva affrontare gli appuntamenti conclusivi di una leggendaria carriera. E infatti, dopo un primo set del tutto regolare e vinto 6-3 dall’americana – “La sera prima avevo chiuso il match con Jana Novotna al terzo set e quel giorno scesi in campo sentendo dolori ovunque” dirà la Golarsa anni dopo in un’intervista rilasciata al sito dottennis.it – dall’inizio del secondo “mi sciolsi e iniziai a giocare davvero bene. Improvvisamente, mi entrava tutto e riuscii a fare match pari con Chris sulla mia superficie preferita”.
Con i capelli raccolti in una lunga treccia e con il solito, gelido aplomb, la Evert subì impassibile l’asfissiante aggressività della milanese che non esitava ad attaccare sia nei propri turni di servizio che, allo stesso modo, in quelli alla risposta. L’esito della sfida, alla vigilia privo di qualsiasi incertezza considerati i valori in campo, si fece così sempre più equilibrato punto dopo punto e la progressiva esaltazione di Laura derivava dalla qualità delle prodezze a loro volta direttamente proporzionali alle difficoltà proposte dalla statunitense. I passanti di Chris contro le volee di Laura, la regolarità dell’americana contro la sfrontatezza della giovane italiana, in apparenza impermeabile all’atmosfera del Court 1 di Wimbledon e chirurgica nel “choppare” di dritto la risposta e conquistare la rete ad ogni costo.
Un momento di rilassamento ci può stare, così come il prendere atto che il vento è cambiato e occorre riorganizzarsi, ma una campionessa come Chris Evert può sempre andare a scartabellare il proprio capiente archivio e trovarne a decine, centinaia di pratiche come questa. E tutte inevitabilmente risolte. Ma stavolta sembrava che gli dei delle imprese clamorose avessero più voce in capitolo di quelli che rendono intoccabili i campioni. Sulla situazione di un set pari (6-2 Golarsa il secondo), ancora più che prima, il pensiero comune era che, appagata per aver messo alle corde la ben più celebre rivale o, in alternativa, sgomenta per il medesimo motivo, l’italiana avrebbe ripreso il contatto con la realtà e a quel punto, magari pizzicandosi un braccio per essere certa di non sognare, la realizzazione di quanto stava succedendo le avrebbe bloccato testa e braccio.
Invece.
Invece a 22 anni non sei così sottile e quando dormi e sogni lo fai così profondamente che è dura svegliarti. Un break in apertura (2-0), il vantaggio di tre giochi (5-2) e, nel nono gioco, l’opportunità di servire per il match. Andy Mill, l’ex-sciatore nonché secondo marito di Chris, scuoteva la testa in tribuna e pensava che quell’indiavolata di una lombarda avrebbe pur dovuto accusare un calo, prima o poi. Ma ormai si era all’ultima fermata e il tempo iniziava a stringere. Sul 30-0, a due punti dalla seconda semifinale italiana a Wimbledon (l’altra fu Lucia Valerio, tra le due guerre), Laura subiva due passanti di rovescio; il primo direttamente in risposta, il secondo anomalo ad uscire dopo una volee titubante. Ci stava, eccome se ci stava; la Evert è una campionessa e i campioni sono tali proprio nei momenti che contano ma la Golarsa era ancora a due punti dalla vittoria mentre seguiva a rete il servizio e impattava la risposta piuttosto alta dell’americana con una acrobatica volee incrociata di rovescio che andava a morire a pochi centimetri dalla linea laterale.
E lì…
“Avevo atteso quel momento per tutto il match. La possibilità di mettere a segno il colpo più bello della partita nell’istante più importante. Andai a colpire quel rovescio in corsa fuori dal campo e riuscii a metterlo sulla riga, imprendibile. Fu il passante che mi restituì alle vicende di un match che per lunghi tratti non avrei pensato di poter vincere” dichiarò Chris a Robin Finn, l’inviato del New York Times a Londra. Sulla palla-break, Golarsa mise a lato una volee di dritto e da lì iniziò il tracollo.
“Non ho grossi rimpianti perché in realtà fu lei ad elevare il livello di gioco e del resto quando affronti campionesse di quel calibro devi sempre attenderti una reazione. Con Chris Evert, anche se arrivi al match-point e lei è al suo ultimo Wimbledon, sai che ci proverà” affermò l’italiana in conferenza stampa. E la rivale confermò: “Oggi non ho giocato una grande partita, non mi sentivo in grande fiducia ma negli ultimi cinque giochi ho messo a segno molti vincenti e quindi penso che la sfida, più che perderla Laura, l’ho vinta io”.
Sempre avanti di un game (5-4) ma alla risposta, Laura Golarsa tornava a due punti dalla vittoria sul 30-30 e stavolta i ruoli si ribaltavano, con Evert costretta a difendere la rete con due volee di rovescio e l’italiana con l’opportunità di passarla; il rovescio in back si spegneva però sul nastro e, con quello, anche le residue speranze di portare a compimento il miracolo. Nell’undicesimo gioco Chris si procurava due palle-break, Laura annullava la prima ma non la successiva e il termometro dell’importanza che l’americana dava alla partita veniva da quell’insolito pugnetto che seguì il dritto vincente che valeva il 6-5.
Dietro gli occhiali da sole, Andy Mill, vestito come un agente dell’FBI, aveva ritrovato colore e a lui la moglie avrebbe diretto il primo sguardo dopo aver involontariamente tirato addosso alla Golarsa l’ultimo passante dell’incontro. Il pubblico del famigerato campo n°1 di Wimbledon era tutto in piedi, una macchia bianca che applaudiva sia la ragazzina che aveva sfiorato l’impresa che la “vecchia” leonessa incapace di arrendersi. Dopo un’ora e quarantanove minuti di stili opposti e quindi perfetti per lo spettacolo, Laura Golarsa doveva accontentarsi di essere la seconda italiana (con il tempo diventeranno quattro, quando anche Farina e Schiavone allungheranno la lista) nei quarti a Wimbledon e non la prima (e unica) semifinalista ma, nonostante tutto “anche se purtroppo l’ho persa, credo sia stata la mia miglior partita; certamente la più importante della carriera”.
In semifinale Chris Evert avrebbe chiuso il suo 18° e ultimo Wimbledon perdendo dalla nuova stella, la tedesca Steffi Graf, e due mesi più tardi a Flushing Meadows avrebbe raggiunto i quarti di finale, sconfitta dalla connazionale Garrison. Il suo bilancio finale nei tornei dello slam è ineguagliabile: 56 partecipazioni e solo quattro sconfitte prima delle semifinali. Avrebbero potuto essere cinque.
0 comments
Ricordo bene l incontro trasmesso in diretta x l occasione
Me la ricordo benissimo peccato sarebbe stata una svolta per la sua carriera