Gian Marco Moroni è senza dubbio il tennista italiano Next Gen più promettente. Classe ’98, romano, a 20 anni si è distinto con una stagione a dir poco fantastica, scalando quasi 500 posizioni nel ranking ATP e ottenendo diversi buoni risultati nei tornei Challenger. Gian Marco, detto Jimbo per via della capigliatura che aveva da ragazzino, che ricordava quella di Connors, risiede e si allena in Spagna sotto la guida del coach Oscar Burrieza, che lui chiama simpaticamente “Burry”. Lo abbiamo contattato e abbiamo fatto assieme una bella chiacchierata, da cui sono emersi tanti aspetti e punti di vista interessanti del suo carattere e del suo modo di interpretare il tennis.
Ciao Gian Marco, innanzitutto grazie mille per la tua disponibilità a questa intervista
Ciao, grazie a voi di Tennis Circus per aver deciso di intervistarmi!
Parliamo del tuo fantastico 2018. Hai iniziato come n. 708 del mondo e chiudi l’anno a ridosso dei top 200. Quasi 500 posizioni scalate, ti sei fatto conoscere nel circuito Challenger a suon di risultati positivi, abbandonando così definitivamente i Futures. Cosa, secondo te, ha permesso questo salto di qualità?
Credo che sia dovuto a un percorso già iniziato lo scorso anno, intorno al mese di Agosto. Si è trattato di un anno molto duro per me dal punto di vista mentale, ma che mi ha reso la persona che sono oggi. Ho imparato professionalità, disciplina, a essere di più un tennista a tutto tondo. Poi c’è stato un evento in particolare della mia vita privata, che mi ha aiutato molto nell’essere più centrato, ad avere più equilibrio mentale. Prima facevo le mie ore di allenamento e finiva lì. Se vincevo, andava tutto bene, ma se perdevo, tutto andava male: cambiavo spesso idea, avevo tanto disordine in testa. Poi invece ho capito che per diventare un tennista completo non basta l’allenamento; devi costruirti una mentalità, capire che tipo di giocatore sei, avere un’idea e portarla avanti con continuità, senza fissarti troppo sui risultati, e ho iniziato ad allenarmi con il giusto spirito e la giusta concentrazione. Con il mio coach Burry ho anche lavorato molto sulla strategia da seguire nei match
Rispetto ad un anno fa, cosa credi di aver migliorato di più nel tuo gioco, e cosa invece senti di dover ancora migliorare molto?
Sicuramente ho migliorato molto il mio gioco offensivo, ma questo è anche l’aspetto che devo continuare a migliorare. Perché più vai su in classifica, più devi crearti delle armi nuove. Quando giochi match ad alto livello, non basta più remare da fondocampo e aspettare l’errore del tuo avversario, ma devi andarti a prendere il punto, devi sfruttare le poche occasioni che ti vengono concesse per chiudere, devi essere tu a vincere le partite
Qual è stato il picco, a parere tuo, della tua stagione 2018? Il momento in cui sentivi di stare giocando davvero il tuo miglior tennis?
Direi tra fine Maggio e fine Giugno, durante i tornei di Mestre (torneo per me giocato in salita) e Vicenza; poi anche a Caltanissetta, nonostante abbia perso 7/6 al terzo contro Dennis Novak, sentivo di aver giocato un buonissimo tennis; durante il torneo dell’Aquila, poi, ho avuto davvero la sensazione di essere al livello di top 100
Di tutti gli avversari incontrati quest’anno nei tornei, chi ti ha impressionato di più e perché?
Un giocatore che su tutti mi ha impressionato è stato Tommy Robredo. Per me è stato incredibile vedere come un tennista, che è stato n.5 del mondo, a 36 anni abbia ancora una incredibile passione per il gioco. Dopo che sei stato al top, ripartire dai tornei Challenger, a quell’età, è una cosa che non fai se non hai davvero ancora tanta motivazione
Qual è il tuo rapporto con gli altri tennisti? C’è qualcuno con cui hai stretto un rapporto più di amicizia?
In generale, cerco di instaurare un rapporto di amicizia con tutti. Alla fine siamo tutti colleghi, non nemici, e capita spesso di incontrarsi più volte nei tornei durante l’anno. Quindi secondo me, è meglio che ci sia un clima di serenità. Ho stretto un buon rapporto di amicizia con Arthur De Greef, con Daniel Gimeno Traver, e in generale con i ragazzi italiani. Tra questi in particolare, Paolo Lorenzi è stato una persona con cui ho avuto davvero molto piacere nel trascorrere del tempo assieme
Parliamo della tua decisione di andare ad allenarti in Spagna con il coach Oscar Burrieza. Tornassi indietro, rifaresti quella scelta?
Quella di trasferirmi in Spagna è stata in realtà una scelta puramente istintiva. Era un momento in cui già pensavo di lasciare l’Italia, perché c’erano alcune cose che non mi andavano bene, e allo stesso tempo sentivo la necessità di avere un ambiente familiare intorno, dato che vengo da una famiglia che è molto unita e legata. Così ho deciso di trasferirmi in Spagna, da mia sorella. Ora posso dire di essere stato fortunato, perché con quella scelta così istintiva, ho conosciuto Burry, che è il mio coach attuale, un mentore per me. Ma col senno di poi, direi che una scelta che adesso non rifarei è quella di mollare tutto e cambiare Nazione solo per andarmici ad allenare, senza ponderare bene. Un’esperienza che invece rifarei, e che consiglio a tutti, è quella di andare a vivere da soli, perché aiuta nel maturare e nel trovare un ordine e un equilibrio mentale
Chi è o chi sono il giocatore o i giocatori a cui ti ispiri?
Mi piacciono molto quei giocatori sanguigni, che esprimono la propria passionalità in campo, che si caricano e caricano anche il pubblico. Su tutti Rafael Nadal, per atteggiamento, mentalità e personalità, e anche Lleyton Hewitt. Poi mi piace molto Del Potro per quel suo dritto devastante, e lo stimo tantissimo perché dopo tutte quelle operazioni al polso è riuscito a ritornare in vetta ripartendo dal basso, e reinventando il suo tennis; credo che il suo rovescio in slice sia uno dei più efficaci del circuito
Parliamo di tennis italiano. Abbiamo vissuto un anno di grazia, culminato con due italiani nei primi 20 del mondo, più di Francia e Spagna, e le ascese e i titoli di Matteo Berrettini, Lorenzo Sonego, Gianluigi Quinzi, Filippo Baldi e la tua. Non possiamo dire di passarcela male. Tuttavia, da giovane tennista in ascesa, che consigli senti di dare ai più giovani perché non rischino di perdersi per strada nella delicata fase di passaggio da juniores a professionista?
Parlo per esperienza personale, anche se ho solo 20 anni: quando sei uno junior, giochi semplicemente a tennis, colpisci la palla magari già benissimo, ma non hai ancora una identità come giocatore. E’ quello di cui parlavo all’inizio dell’intervista, costruirsi una propria identità. Altro consiglio che sento di dare ai più giovani: due settimane, due mesi, un anno di sconfitte magari, non devono farvi desistere dal continuare a lavorare; non fasciatevi la testa, non fate tragedie, non state a guardare agli altri che magari migliorano più velocemente di voi. Piuttosto chiedetevi: cosa posso fare davvero per migliorare il mio tennis e la mia condizione fisica e mentale? E lavorateci su, da soli e con il proprio team. Senza dipendere dal risultato, ma piuttosto riuscendo a raggiungere il punto in cui avrete il piacere di lavorare ogni giorno, nella convinzione che i risultati prima o poi arriveranno
Veniamo a un tema delicato. Scommesse e match fixing. Avrai di certo letto della triste vicenda che ha coinvolto Bracciali e Starace negli ultimi giorni. Casi di match fixing si verificano specialmente nei tornei minori, dove non si guadagna tanto, e dove probabilmente la prospettiva di un buon guadagno facile possa prevalere sull’integrità sportiva. Cosa pensi che l’ATP possa fare per evitare episodi di questo tipo in futuro?
In primis, bisognerebbe forse tutelare di più i tennisti dal punto di vista economico, per esempio aumentando il Prize Money nei tornei minori, perché è specialmente in quel tipo di tornei che episodi del genere succedono, e in cui è più facile per gente senza scrupoli corrompere un tennista magari in difficoltà economiche, che cede alla tentazione. A quel punto il tennista diventa allo stesso tempo vittima ma anche complice dell’illecito. Forse si dovrebbero proprio eliminare totalmente le scommesse dai tornei minori, anche per tutelare quei tennisti che ricevono insulti e minacce da scommettitori incalliti…
…ti è successo?
Sì. Una volta, durante un torneo, stavo giocando un match che avevo in pugno, fino al momento in cui ho totalmente finito la benzina. Era un periodo in cui venivo da molti match giocati, ero stanco e scarico, e alla fine sono stato rimontato e ho perso quel match. Poco dopo, ho ricevuto su internet commenti da parte di un tizio che mi dava del “match fixer” e mi augurava cose davvero brutte, insulti molto pesanti. Ovviamente ho ignorato quei commenti
Ok, grazie. Torniamo a temi più leggeri. Cosa diresti a un tuo giovane sostenitore che è rimasto sveglio fino alle 3 di notte per vedere il tuo match contro Robredo in Cile, e che la mattina dopo aveva scuola?
Oh Dio, grande! (ride). Beh, spero che non sia arrivato in ritardo o che non abbia preso un brutto voto il giorno dopo. Gli mando tanti saluti!
La tua stagione 2018 è finita anzitempo a causa di un problema alla schiena, e hai dovuto purtroppo rinunciare alle qualificazioni per le Next Gen ATP Finals. Tuttavia, hai recentemente annunciato sui tuoi profili social che la schiena sta bene, e che ti stai già preparando al meglio per la nuova stagione. Ce ne vuoi parlare?
Quello alla schiena non è stato un infortunio grave, ma anche discutendone con il mio team, abbiamo preferito chiudere la stagione lì, per non rischiare che, continuando a giocare, potesse diventare qualcosa di più grave. Ovviamente sono molto dispiaciuto per aver saltato le qualificazioni per le Next Gen ATP Finals, ma sono convinto che è stata la decisione giusta, per il mio bene
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E noi speriamo di vederti alle prossime Next Gen ATP Finals, possibilmente da qualificato diretto! A questo proposito, cosa ne pensi delle novità sperimentate (per il secondo anno) durante l’evento milanese d’inizio Novembre, come il coaching, le nuove regole del punteggio, lo shot clock e così via? Quali di queste regole tu applicheresti in futuro nel circuito e quali invece secondo te sono assolutamente da bocciare?
Boccerei assolutamente i set a 4 game. Posso capire i problemi di durata, specialmente per le TV, ma preferisco i tradizionali set a 6 game; allo stesso tempo però, non mi piaceva il quinto set ad oltranza come a Wimbledon, quindi sono per la virtù che sta nel mezzo. Il punto secco sulla parità è un formato che userei tutta la vita in allenamento perché è un ottimo esercizio di concentrazione, ma in partita preferisco i classici vantaggi. Sono favorevole allo shot clock, ma non così drastico; vorrei che fosse più’ flessibile, dipendentemente dalle situazioni. 20 secondi di tempo dopo aver commesso un doppio fallo e 20 secondi di tempo dopo un rally di 30 colpi giocato con 40 gradi ed il 90% di umidità non sono la stessa cosa. Per quello che riguarda il coaching, sono favorevole. Esiste negli altri sport, come calcio, pallavolo, basket, non vedo perché non debba esistere nel tennis. Trovo ingiusto che il coach non abbia la possibilità di aiutarti in campo, visto che il coach ti segue e ti guida in ogni momento fuori dal match di torneo, siete una squadra insieme. Inoltre, il coach può dire in campo al suo giocatore di fare qualunque cosa, ma poi sta al giocatore prestargli ascolto ed eventualmente mettere in pratica il suo consiglio alla ripresa del gioco; non siamo dei robot a cui schiacci un bottone e noi eseguiamo alla lettera, specialmente durante un incontro di torneo
Riguardo ai tuoi obiettivi, tre anni fa hai dichiarato di voler vincere più Slam di Federer (all’epoca ne aveva vinti 17); qualcuno ti ha preso in giro per questo, ma a noi la cosa piace, perché è bene tenere alta l’asticella dei propri obiettivi, di modo da lavorare sempre più duro per provare a raggiungerli
Hai colto perfettamente nel segno. So che posso non raggiungere quell’obiettivo, perché è davvero enorme. Ma ho detto quella frase perché non voglio pormi alcun limite. Voglio un giorno potermi guardare indietro ed essere felice e soddisfatto di quello che ho fatto, non avere rimpianti, sapendo di aver dato tutto per provare a raggiungere qualcosa di grande, anche se alla fine non ci sarò riuscito
Bravo. E per gli obiettivi più a breve termine, diciamo, quali sono i tuoi per il 2019 e come organizzerai la tua programmazione? Oltre ovviamente alle quali degli Australian Open, farai più qualificazioni di tornei ATP e meno Challenger?
Per ora, l’obiettivo principale è recuperare al 100% dal problema che ho avuto. La cosa più importante è stare bene e riuscire a giocare senza più problemi alla schiena. Per quello che riguarda la stagione, sì, farò ovviamente le quali degli Australian Open; ma per il resto, tutto dipende dal ranking. Il mio attuale ranking mi permette di fare le qualificazioni degli Slam, qualche qualificazione di tornei ATP 250 e i tornei Challenger. Poi si vedrà a stagione in corso. Si può sempre correggere la programmazione in corsa, se il ranking è migliorato, come ha fatto ad esempio Matteo Berrettini, giocatore tra l’altro a cui voglio bene e di cui ho moltissima stima
Vuoi chiudere con una frase che ti rappresenta?
“L’importante non è il dove vai, ma come ci arrivi”
Grazie ancora Gian Marco per la tua onestà, simpatia e disponibilità. Ti auguriamo delle buone feste natalizie e una stagione 2019 da protagonista, in bocca al lupo!
Crepi, grazie a voi di Tennis Circus, un saluto a tutti e a presto!