“Paolino la peste”, “NeuroCané”, “Turborovescio”. Questi nicknames risvegliano i ricordi degli appassionati e ricordano a tutti un giocatore che compie oggi 52 primavere, uno dei migliori talenti del tennis italiano dell’era post-Panatta, il bolognese Paolo Cané.
Giunto “solo” al 27 posto della classifica, Paolino ha rappresentato per molto tempo l’Italia in giro per il mondo, in un momento del nostro sport non certamente brillante. Pochi giocatori, spesso pigri, “terra-dipendenti”. Gli anni 80 sono stati un periodo indubbiamente difficile per il tennis italiano, ma tra i pochi acuti che abbiamo potuto registrare quelli regalati da Paolo Cané sono da ricordare. In Coppa Davis in particolare, quando sotto la direzione di Adriano Panatta, la nostra nazionale è riuscita a restare in serie A, con corazzate come la Svezia, la Germania e soprattutto gli Stati Uniti a farla da padrone.
Proprio la Svezia, nel 1990, sarà ricordata per l’epica impresa di Cané contro Mats Wilander, n. 1 del mondo, sconfitto in 5 incredibili set nel freddo di Cagliari. Genio e follia, lo ricordo porgere la racchetta ad un paziente Adriano Panatta durante un match di Davis che si stava complicando, con l’invito a fare meglio di quanto stava ottenendo lui in campo. Oppure inopinatamente sconfitto a Roma dallo svedese Jarryd, con un double bagle, uscire dal campo distruggendo le innocenti fioriere del Foro Italico. O ancora dialogare animatamente con uno spettatore alticcio durante un altro match maratona contro Thomas Muster, in Austria, sempre in Coppa Davis.
Per chi come me ha appeso il suo poster in cameretta da ragazzino, i rimpianti per una carriera che doveva e poteva andare diversamente sono tanti: poche le vittorie al suo attivo, i tornei di Bordeaux e Bastaad in singolare, la finale di Montecarlo (con Diego Nargiso) in doppio, tra i più imporntanti titoli. Poi tante vittorie exploit, seguite a lunghi periodo di appannamento, di imprese solo sfiorate, come ad esempio quella contro Lendl sul centrale di Wimbledon nel 1987. Vittorie su tanti campioni, oltre a Wilander, Paolo Cané vanta successi su Connors, Edberg, Cash.
Un giocatore che aveva nella fantasia la sue arma più importante, la capacità di addormentare il gioco col il back di rovescio e con il top di dritto, per poi accellerare, specie con il rovescio lungoriga (il “turbo-rovescio” copyright Giampiero Galeazzi). Una “manina benedetta” come diceva Gianni Clerici, che lo definì anche “neuro-Cané” per l’impossibilità di controllare i suoi nervi durante i match. Canè sapeva fare tutto bene, a rete, in risposta, tanto da essere anche un ottimo doppista. Poi gli infortuni, la discontinuità, errori di programmazione, la sfortuna ne hanno condizionato il rendimento. Oggi svolge l’attività di coach a livello giovanile e ogni tanto commenta su Eurosport qualche partita. Per noi resterà sempre un bel vedere tennistico e tecnico. Auguri Paolo!