C’è un momento nella vita in cui finalmente riesci a vedere tutto più chiaro, quando anche le contingenze esterne hanno smesso di intralciare i tuoi piani facendo svanire i dubbi e le incertezze che ti portavi appresso. È quello che sta passando Simone Bolelli in questo momento della sua carriera. Certo l’età non è per nulla a suo favore ma il trend degli ultimi anni ci dice che il tennis per il momento è dominato dai trentenni.
Simone proprio oggi compie 30 anni e può festeggiare una stagione più che soddisfacente a livello personale. Un ritorno (l’ennesimo purtroppo) nel tennis che conta avvenuto già dal 2014 ma che ora sembra essere definitivo e duraturo e non più temporaneo come ci ha abituato il tennista emiliano. Perché gli alti e bassi avuti dal “Bole” nell’arco della carriera sono stati molti, troppi forse. Ad essere onesti, viste le sue straordinarie doti tecniche, da lui ci si sarebbe aspettati una storia sportiva meno avara di successi, una storia da protagonista nel circuito, una carriera da Top 20, perché no.
Perché i colpi Simone li ha e li ha sempre avuti. Un servizio solido ma soprattutto un diritto devastante, capace di buttare fuori dal campo giocatori come Nadal, Djokovic, Berdych, tanto per fare alcuni nomi. Un rovescio a una mano, ormai sempre più raro a vedersi, degno della migliore accademia di tennis e poi una grande sensibilità nel tocco di palla. Tutto questo era già evidente nel 2008, quando a 22 anni fece vedere, per la prima volta in mondovisione, cosa era capace di fare con una racchetta in mano. Era l’anno in cui conquistò tanti scalpi eccellenti: Marat Safin (ex n. 1), Tursunov (n. 22), Karlovic (n. 18), Mathieu, Garcia-Lopez, raggiungendo il terzo turno a Roma e agli Slam di Parigi e di Wimbledon. Un anno che lo portò nel febbraio del 2009 al suo best ranking alla 36esima posizione.
Ecco, ma allora perché il bolognese non è mai riuscito a fare il fatidico salto di qualità? A distanza di sei anni e mezzo siamo ancora qui ad aspettare l’esplosione di un tennista che in realtà non ha ancora acceso la miccia. A distanza di sei anni e mezzo non è riuscito a migliorare il suo best ranking (oggi è n. 59). Come accennato, nel corso della vita Simone ha dovuto anche affrontare imprevisti e ostacoli. Come lo scontro con la Federazione Italiana Tennis, dopo la sua richiesta di non essere convocato per lo spareggio di Coppa Davis contro la Lettonia nel settembre 2008. Una mossa che provocò l’ira della Fit e portò a un vero e proprio ostracismo nei suoi confronti. La stessa Fit annunciò tramite il presidente Angelo Binaghi che “fino a quando ci saremo noi, Bolelli non giocherà mai più in Coppa Davis”. Una vicenda rientrata un anno più tardi con il chiarimento tra l’allora presidente Fit e Bolelli.
Altro fulmine a ciel sereno per Simone fu il traumatico divorzio con il suo coach Claudio Pistolesi nel 2009, dopo 3 anni e mezzo di collaborazione, nella stagione in cui si attendeva la sua consacrazione definitiva. Da quel momento, l’azzurro attraversa una crisi nera che durerà un anno. Simone incassa sconfitte consecutive una dopo l’altra, non riuscendo mai a passare il primo turno dei tornei in cui partecipa. Prestazioni che lo fanno inevitabilmente scendere in classifica: il Bole sprofonda fino alla 134esima posizione. Tutto da rifare.
Gli anni 2010-11 sono anni in cui si diletta anche nel doppio ottenendo buoni risultati. Sale addirittura fino alla posizione n. 39 del ranking di doppio e comincia una proficua collaborazione con Fabio Fognini, con il quale nel 2015 riuscirà a conquistare uno storico titolo Slam agli Australian Open. Nel 2012 Bolelli torna competitivo anche in singolare dimostrando di trovarsi molto a suo agio sull’erba e sul cemento, al contrario dei classici terraioli italiani.
Poi però gli cade un’altra tegola in testa: distorsione, con relativa lussazione, al polso destro. Simone prova con le terapie a rientrare subito alle competizioni ma alla fine è costretto ad andare sotto i ferri. Con l’operazione chirurgica si chiude già a luglio la stagione 2013.
Nel 2014 avviene la rinascita. Simone appare più maturo e solido. Sembra essere tornato più forte di prima. E i risultati non tardano ad arrivare. Dopo essere sceso negli abissi della classifica, oltre la posizione 300 del ranking, mattone dopo mattone costruisce la risalita. Il momento migliore lo vive a Londra. Nel torneo di Wimbledon entra nel tabellone principale da lucky looser e, dopo aver superato al secondo turno il tedesco Philipp Kohlschreiber, si ferma, ma non prima di aver dato battaglia, al cospetto del giapponese Kei Nishikori (n. 10 del seeding), in una delle più belle partite dell’intero anno che dura tre giorni (perché sospesa per oscurità al quinto set e ripresa dopo un ulteriore giorno di riposo).
Un anno più tardi, il destino lo pone di nuovo di fronte al giapponese al primo turno dello Slam londinese. Una chance di rivincita che però l’italiano non coglie, perdendo di nuovo al quinto set dopo una battaglia di oltre tre ore. Ma, a volte, più dei risultati sono importanti i segnali. E segnali Bolelli ne sta dando parecchi ultimamente. Lui che ha sempre avuto problemi di continuità di rendimento, sta finalmente trovando la costanza necessaria per imporsi e stare in mezzo ai migliori.
Ma bisogna prima di tutto individuare i propri limiti, lavorando molto su se stessi. Perché i problemi esterni al campo avuti nel corso della carriera non possono costituire un alibi. La discontinuità di Bolelli è, infatti, dovuta anche ad aspetti mentali e atletici. Molti evidenziano la carenza di grinta di Simone e la scarsa attitudine a tirarla fuori nei punti più importanti. E in parte è vero. Anche se le statistiche ci dicono che Bolelli è tra i primi tennisti al mondo nella percentuale di palle break annullate agli avversari. Ciò significa che i punti importanti sa giocarseli bene. Ma forse il problema è che di palle break ne fa giocare ancora troppe agli avversari, dimostrando un’approccio mentale spesso remissivo che lo porta ad avere la giusta tensione agonistica quando è ormai con le spalle al muro.
Dal punto di vista fisico, Bolelli manifesta una certa pigrizia nei movimenti che con gli anni non è ancora riuscito a scrollarsi di dosso. Quando imposta e domina lo scambio sembra davvero uno dei più forti al mondo. Al contrario, quando è costretto sulla difensiva palesa tutti i suoi difetti negli spostamenti, specie quelli laterali. Una caratteristica che incide parecchio nei game in risposta, quando sei costretto a difenderti già dal servizio dell’avversario. E nell’economia di un match è determinante perché strappare un break diventa molto più difficile.
E’ su questo che deve lavorare il bolognese. La sua carriera è ricominciata da zero dopo l’infortunio e di tempo per togliersi altre soddisfazioni ce n’è ancora. Non è il caso di recriminare o di rimpiangere gli anni persi tra infortuni, scontri con la Federazione e divorzi tecnici. Meglio lasciarsi il passato alle spalle e pensare al presente.
In un’intervista rilasciata a Sports Illustrated qualche giorno fa, Simone ha dichiarato “di poter giocare ad alti livelli per altri 4-5 anni”. E questo è l’augurio che ci sentiamo di fargli proprio oggi, il giorno del suo 30esimo compleanno.