Fabio Fognini a Rio de Janeiro ha compiuto l’impresa più grande della sua carriera, battere Rafa Nadal sulla terra rossa. Peccato non sia riuscito a portare a casa il torneo, cedendo di schianto, in finale, a David Ferrer. Poco male però: il Brasile ci restituisce quel Fognini che l’Italia ha sempre saputo di avere.
di Lorenza Paolucci
Diciamolo a bassa a voce, perchè quando si parla di Fabio Fognini, bisogna sempre andare con i piedi di piombo: l’Italia tennistica sembra aver ritrovato il suo n.1, talento indiscutibile quanto difficile, croce e delizia degli esteti del tennis.
A Rio de Janeiro il Fabio nazionale non è riuscito a vincere il torneo, ha ceduto a David Ferrer, piuttosto nettamente, ma in finale ci è arrivato battendo il re del rosso, Rafa Nadal, sulla superficie dove il mallorchino non perdeva una semifinale da dodici anni.
“Ho giocato la miglior partita della mia carriera“, ha detto il ligure all’indomani dell’impresa sull’ex n.1 del mondo. La cavalcata di Fabio è cominciata nel match di primo turno contro Jiri Vesely, dove è stato ad un passo dall’ennesima brutta sconfitta, prima di annullare tre match point. La sconfitta in finale contro Ferrer è una ferita dolce, perchè se è vero che perdere non piace mai, è anche vero che un ATP 500 Fognini potrà sempre vincerlo mentre la vittoria contro Nadal, resterà una perla che speriamo lo renda finalmente conscio di quanto può dare al tennis italiano e mondiale.
Ma l’impresa brasiliana di Fognini, per quanto straordinaria, non deve sorprendere: Fabio ha le capacità per stare tra i primi dieci del mondo, e soprattutto sul rosso può competere con tutti. Esattamente un anno fa vinceva il terzo trofeo in carriera ( a Vina del Mar), trascinava l’Italia di Coppa Davis in semifinale, battendo Andy Murray, e sembrava aver raggiunto quella maturazione tanto sperata. Invece fu solo un’ illusione: da marzo in poi Fabio iniziò’ un’inesorabile discesa verso il baratro, non solo per le sconfitte ( la peggiore contro il cinese Wang, n.553 del mondo), quanto per i comportamenti. Gli insulti ai giudici di gara, i gestacci al pubblico, le letigate con il padre in tribuna e persino espressioni razziste nei confronti degli avversari, ci avevano rivelato un Fabio che nessuno conosceva, nonostante il suo rinomato carattere irrequieto. Le scuse e la coscienza di sbagliare dopo ogni scivolone non sono bastate al ligure per respingere le antipatie del pubblico (che lo fischia spesso e volentieri), dei tifosi italiani (che pur riconoscendone il talento, mal lo tollerano) e dei direttori di gara ( che non gli perdonano più, nemmeno un sospiro). Comportamenti nati dalla pressione che Fabio non ha saputo gestire in questi mesi quando si è trovato da solo, unico talento a supportare il peso delle aspettative italiane, sbattuto sui giornali per la love story con la collega Pennetta e sui campi da tennis dove tutti da lui prendono risultati che il suo braccio può regalare. Non è un caso che si sia ritrovato proprio ora che i colleghi Seppi e Bolelli gli abbiano rubato la scena, allontandolo dai riflettori che tanto pare lo accechino, e forse stimolandolo a far vedere a tutti ciò di cui è capace.
In Brasile è apparso tranquillo e posato, come non mai, anche nei momenti in cui sembrava che i match gli stessero sfuggendo di mano. Speriamo che alla soglia dei 28 anni impari a gestire responsabilità e tensione e che non ricadi più nei folli comportamenti della passata stagione.
Fognini, lo sappiamo, è una testa calda e in questo probabilmente mai cambierà ma la sregolatezza può essere anche un punto di forza e non necessariamente un debolezza.
Lui dice di essersi “ritrovato”, noi invece diciamo di aver finalmente “trovato” quel Fognini che abbiamo sempre saputo di avere. Ma diciamolo a voce bassa, con Fabio non si può mai sapere.