Fa più freddo di una settimana fa, pensi: per uscire è quasi ora di indossare una felpa, quella leggera, la stessa, grigia, dell’anno scorso. Sei tornato dalle vacanze da pochi giorni ed è tutto come prima. Ti sei ritrovato sdraiato su quel divano che ormai ha preso la forma del tuo corpo a guardare un film che non stai ascoltando. Come sempre. La sveglia è sul comodino e tra meno di otto ore attaccherà a suonare fino a che non proverai nausea per quel rumore e la spegnerai. Come sempre. È una normalità che odi, ora che ci sei dentro. Anche se c’è stato un momento, qualche secondo, più o meno a metà delle ferie, in cui non vedevi l’ora di tornare. Avevi voglia di immergerti in quella anestetizzazione giornaliera a cui eri abituato prima, e che ricomincerai ad odiare il giorno stesso in cui ci ricascherai. La novità spaventa, incute timore. Ti manca cadere in quell’abisso di consuetudini in cui sprofondi provando un piacere superficiale, finto. E poi quando lo riprovi scopri, un’altra volta, che è tutto dannatamente uguale a prima.
Ma ieri sera no. È stato diverso. Più bello, forse. Fino alle 22 eri sdraiato sul solito divano deformato, poi hai capito che forse era il caso di metterti seduto. Dalle 23.30 in poi hai abbandonato quel sofà per impalarti davanti alla televisione. Stavi attento ad ogni passo, ad ogni mossa, ogni parola. Ogni dritto, ogni rovescio. Stavi giocando anche tu, quella partita. Stavi giocando lo stesso match che Matteo Berrettini ha vinto per arrivare in semifinale agli United States Open. I tuoi occhi hanno finalmente saputo cogliere quell’emozione data dal diverso a cui erano diseducati, si sono relazionati coi colpi di Matteo che se avessero potuto parlare avrebbero urlato “eccomi, sono qui”. Ne hai colto la bellezza e hai intrapreso un viaggio che ti ha portato al di fuori dell’abitudine, in un’inquietudine data dall’incertezza estrema, fino all’ultimo punto. Non sapevi dove saresti arrivato, dove ti avrebbe portato. Ma hai cercato il vero te stesso. E almeno per due ore l’hai ritrovato.
Dopo quarantadue anni un italiano è in semifinale a New York. Matteo Berrettini ci ha emozionati fino alle lacrime. È stata la partita che ha vinto uno come noi, così fragile e nudo davanti alla Vittoria. Una Vittoria che lo ha guardato dritto negli occhi e si è compiaciuta del suo pur breve e giustificato impaccio (il doppio fallo sul primo match point). Ma Berrettini l’ha saputa cogliere centrando un risultato storico per l’Italia del tennis e dello sport. Ha sconfitto Gael Monfils, uno dei più ostici da incontrare soprattutto in partite del genere. Pare sempre stremato, il francese, per poi risorgere come il Lazzaro del tennis. Anche ieri sera, infatti, nel quarto set ha provato a uscire dal sepolcro a cui sembrava destinato. Matteo è rimasto composto nella sua concentrazione. Quando perse in quel modo (6-1, 6-2, 6-2 in un’ora di gioco) con Federer a Wimbledon scrissi che speravo che avrebbe sofferto per quella sconfitta così brutta e meritata. Lo speravo perchè ero sicuro che se avesse pianto almeno per un po’ non avrebbe più mancato un’occasione del genere. Le mie speranze non sono state vane. Dopo la sconfitta contro Federer, Berrettini non ha dormito per qualche notte. E ora, un paio di mesi dopo, è in semifinale agli US Open. Sfiderà Rafael Nadal.
Grazie, Matteo. Ci hai fatto ricordare di essere uomini veri. Come te.
3 comments
Una bellissima storia, che gli auguro possa essere simile a quella che ebbe Nadal dal2005 in poi. Forza Matteo!
Una bellissima storia, che gli auguro possa essere simile a quella che ebbe Nadal dal2005 in poi. Forza Matteo!
Una bellissima storia, che gli auguro possa essere simile a quella che ebbe Nadal dal2005 in poi. Forza Matteo!