Il 2016 di Matteo Donati

Che stagione è stata per il piemontese? Probabilmente si è trattato dell'annata più difficile nel circuito pro per il talento di Matteo Donati chiamato a confermare l'ottimo 2015.

Il ritiro a Brest, durante il primo turno del Challenger che si disputa nella cittadina francese, a metà ottobre deve aver parecchio deluso Matteo Donati.
Un infortunio che lo ha fermato proprio quando contava di raccogliere i frutti del duro lavoro affrontato nel 2016, forse l’anno più complicato da affrontare per un giovane tennista che si affaccia al professionismo. L’anno della riconferma nella top 200 Atp, ovvero l’asticella che prelude alla consacrazione definitiva, ma che rappresenta un traguardo molto difficile da raggiungere.
Matteo lo aveva raggiunto poco dopo aver compiuto vent’anni. Era il luglio del 2015 e la classifica segnava un lusinghiero #159, così come lusinghiero è, forse anche di più, l’attuale #207.
Parlare in termini di classifica potrebbe sembrare riduttivo, ma per l’appunto l’anno della riconferma nei piani alti del ranking è quello più difficile. Ci sono punti da confermare, il livello dei tornei da giocare si innalza inevitabilmente, e con esso la “garra” dei tuoi avversari. Già solo per aver “perso” soltanto 56 posizioni, quest’anno potrebbe essere considerato positivo. Ma c’è dell’altro.

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Il dato che i risultati ottenuti da Donati nel 2016 ci restituiscono è molto positivo: se la prima parte della stagione è stata per forze di cose più negativa, proprio per il contraccolpo di cui parlavo in precedenza, già da maggio, sul piano del gioco, si è visto un giocatore molto solido, non solo dalla parte del rovescio, il marchio di fabbrica del piemontese. Il dritto ha cominciato a trovare una profondità finora mai vista con questa continuità, il servizio paga ancora qualche problema di potenza, che sicuramente verrà con il lavoro e il tempo. Circa la modalità di tenuta del campo di Matteo c’è ben poco da dire: parliamo di grande solidità mentale, capacità di leggere la partita da veterano, e grande umiltà. Armi che inevitabilmente lo riporteranno a caccia di quel migliormamento del ranking che quest’anno è sfuggito per poco.

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Almeno un paio di partite, infatti, resteranno nella memoria di Donati: la finale di Caltinissetta contro Paolo Lorenzi, e la semifinale di Manerbio contro Leonardo Mayer, fresco vincitore della Coppa Davis. In entrambi i casi Matteo ha avuto la palla della vittoria, non sfruttata. Ma non è certo questo il caso di una “memoria negativa”: tutt’altro. Provando a stare nella testa del nostro futuro campione, e guardando al modo con cui ha continuato a lottare fino alla fine con giocatori di altro livello rispetto al suo attuale, queste occasioni perse rappresentano invece la cartina di Tornasole del lavoro ottimo che con coach Puci sta facendo. Un lavoro di ricerca del livello di gioco da top player e del suo mantenimento, ovvero il cammino più saggio e faticoso verso la consacrazione da professionista.

Ne avevo parlato con Gianni Ocleppo, altro piemontese, ad inizio stagione: “se riesce a mantenere il livello da top 200 atp sarà un grandissimo risultato” aveva sentenziato Gianni. E aveva predetto quanto effettivamente accaduto. Donati conferma di essere uno dei possibili tennisti del futuro del nostro tennis, con un 2017 pieno di rinnovate consapevolezze e sicure motivazioni.

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